Paul Weller: “Con “66” guardo al presente, la musica del passato è la migliore. Tranne la mia: l’esperienza arricchisce la creatività”

Paul Weller non tradisce. Vederlo a Londra, e in tour in Inghilterra dove sta presentando dal vivo i brani del suo album in uscita, “66”, è un’ondata di freschezza. La signorilità di Weller è innata, e te l’aspetti. La bellezza delle canzoni pure, infatti i primi assaggi inediti non tradiscono. Ma la freschezza è stupefacente – complice, senz’altro, un’ottima band di giovani strumentisti, capaci di sintonizzarsi in modo armonioso con il leader. Ma Paul Weller risulta il più “giovane” tra i giovani, per approccio stilistico, duttilità e capacità di svelarsi al pubblico riproponendo, qua e là, i suoi successi di sempre: da “That’s entertainment”, un classico del Britpop, a “Going Underground”, sempre dei Jam, fino a “Shout to the top!” e “Walls come tumbling down”, due hit degli Style Council. Ma poi arrivano “Stanley Road” e “Wild Wood” e si scopre un sound vivo e frizzante, trasformato in una brillantezza che – oggettivamente – un giovane artista oggi difficilmente possiede. Non a caso, durante una chiacchierata informale, Weller ci dice: «La musica mi incuriosisce, ma continuo a preferire i classici del passato, dal Jazz alla World music. Ed è strano  perché, nel mio caso, preferisco  le nuove canzoni alle vecchie».
Negli ultimi anni, forse complice il lockdown, ha rilasciato molte interviste. Ora, la scelta di promuovere “66” dal vivo.
«C’è stata una bella ripresa, nel mondo della musica, e tanta voglia di tornare ad esibirsi dal vivo. Io non faccio eccezioni, ho pensato fosse bello proporre i nuovi brani, alcuni in particolare, da un  palcoscenico».
Cosa può dirci, di “66”, al di là dei brani che già esegue in pubblico?
«Sono soddisfatto: è un lavoro che mi rappresenta, a partire dal titolo. Grazie agli ospiti e alle collaborazioni, ho trovato il giusto suono, raffinato e orchestrale, e lo considero un lavoro interessante, il riflesso del mio essere musicista oggi. I testi sono più introspettivi, l’età arricchisce la creatività. Questo è il mio pensiero, ed è stata la mia esperienza».
L’aspetto creativo, nella sua discografia, è un tratto distintivo.
«Ogni mio album è diverso dal precedente. Non mi piace ripetere qualcosa, anche se fosse un ottimo disco. Non avrebbe senso».
Sua figlia le ha fatto da corista nel precedente “Fat Pop”. Ripeterà l’esperienza?
«Niente in contrario.  Tutti i miei figli amano la musica, anche i piccoli. Ma ascoltano le nuove canzoni di papà e sono poco interessati al passato. Questo mi piace molto. E’ stimolante verificare quanto i giovani siano più attenti al presente, significa che c’è ancora qualcosa da dire».
La riporto nel passato. Lei è un  fan dei Beatles: l’8 maggio uscirà la versione restaurata di “Let it be” e l’anno scorso abbiamo ascoltato “Now and Then”. Cosa pensa di questo tipo di operazioni?
«Sono sempre stato un fan dei Beatles e tutto questo mi ha dato,  e suppongo mi darà, una bella scossa emotiva. Penso che abbiano fatto benissimo a realizzare “Now and Then” poiché il risultato è brillante e perfetto, si torna indietro nel tempo e si ritrova, però in un brano inedito, la stessa magia di sempre. Anzi, se ripenso a grandi artisti che non sono più tra noi, mi viene sempre da chiedermi “Chissà cosa avrebbero potuto fare ancora, di bello, nel mondo della musica”. Non c’è fortuna maggiore di poter continuare a fare l’artista, con il passare degli anni. L’album “66” è anche un modo per ribadirlo».
FOCUS SU “66”, IL NUOVO ALBUM IN USCITA IL PROSSIMO 24 MAGGIO
Nel panorama in continua evoluzione della musica pop contemporanea, pochi artisti possiedono l’influenza e lo spirito innovativo di Paul Weller. Una carriera discografica iniziata nel 1977 che vede ora l’uscita del suo 17° album solista. Weller ha sempre dimostrato un impegno costante nel superare i confini artistici pur rimanendo fedele alle sue radici. ”66” – questo il titolo – promette di non fare eccezione, offrendo un viaggio accattivante attraverso la sua continua evoluzione musicale.
Come indicano il titolo e l’artwork di Sir Peter Blake (il suo primo per Weller da “Stanley Road” del 1995), il nuovo album di Paul Weller segna il completamento del suo 66° viaggio intorno al sole e uscirà il 24 maggio, il giorno prima del suo 66esimo compleanno.
“66” è un album riflessivo ed intimo che riporta indietro nel tempo l’obiettivo della fotocamera e fa luce sul modo in cui la creatività di Weller interagisce con il suo mondo più ampio. L’album attinge a frammenti di vita reale, a riflessioni sulla spiritualità e persino a ricordi d’infanzia. Ci sono canzoni che toccano la fede e le circostanze e le realtà mutevoli della vita in quest’epoca turbolenta. Ma “66” è in fondo positivo, pieno della saggezza e della prospettiva maturate dall’attività di qualcuno che ha davvero vissuto e amato tanto.
Le 12 canzoni sono state concepite nello studio Black Barn di Weller negli ultimi di tre anni con vari musicisti e “66” è sicuramente l’album in cui le collaborazioni si concretizzano nel modo più compiuto. Tra gli ospiti ci sono Suggs, Noel Gallagher e Bobby Gillespie, rispettivamente in “Ship of fools”, “Jumble Queen” e “Soul wondering”. L’album vede anche il ritorno degli arrangiamenti orchestrali di Hannah Peel e di Erland Cooper e del duo White Label come co-compositori. Inoltre, ci sono due brani in cui Weller collabora con il produttore e artista francese Christophe Vaillant (Le Superhomard), mentre il trio femminile di Brooklyn Say She She duetta in “In Full Flight”. In tutto l’album suonano vecchi amici come Dr Robert, Richard Hawley, Steve Brooks e Max Beesley.
Il primo assaggio da “66” è “Soul wondering”, già disponibile da qualche tempo su tutte le piattaforme digitali. Mentre dal 5 Aprile è uscito il singolo “Rise up singing”, perfetto microcosmo, che i fan vecchi e nuovi del cantante stanno aspettando: soul e spiritualità fuse in un groove unico. L’album “66” sembra così già destinato a diventare una pietra miliare nella discografia di Weller, consolidando il suo status di uno degli artisti più importanti della sua generazione.
di ELEONORA BAGAROTTI

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