“La rinnegata generazione”, un viaggio tumultuoso negli abissi dell’adolescenza
29 Aprile 2024 15:55
L’adolescenza è fatta di sogni, idealismi e illusioni, ma anche di rabbia, delusioni e incertezze, emozioni che spesso si mescolano tra loro a formare un caos turbinante. Nessuno è immune a questi terremoti emotivi, né i ragazzi, né i loro adulti di riferimento, per questo la più grande difficoltà è trovare un punto di intersezione tra questi due mondi, i quali rimangono il più delle volte non comunicanti e in eterno conflitto. Permane nei ragazzi un senso di alienazione, quasi la certezza di essere considerati invisibili da parte di una società che vibra su altre frequenze, tanto incomprensibili e differenti dalle proprie. È questa l’atmosfera che permea il romanzo d’esordio di
Simone Rotondi, “La rinnegata generazione” (Gruppo Albatros il Filo, 2023). Già il titolo, eloquente e lapidario, sembra voler porre una linea di demarcazione con il mondo, assumendo a proprio manifesto la condizione di outsider, di giovani emarginati da una società che non li rappresenta. L’autore, classe 2002, è un abile e impetuoso condottiero nella burrasca della giovinezza: con il suo libro è in grado di parlare ai propri coetanei, affinché si riconoscano e si sentano meno soli, ma al contempo dialoga con gli adulti, nel tentativo di spiegare il proprio tempo e magari ricordare che loro stessi, un tempo, forse avevano provato gli stessi sentimenti.
“La rinnegata generazione” è quasi un romanzo di formazione, un’esperienza che
dal quotidiano sfocia nel mistico grazie alla delicatezza di un linguaggio ricercato e a tratti poetico. Segue l’esperienza di vita di un giovane del nostro tempo, animato da un moto di ribellione totale e dalla necessità di affermare il proprio io, talvolta con irruenza, altre con la vanità di chi indaga il proprio corpo e lo scopre ogni giorno un po’ diverso, indomabile. “Ero intento a misurare il mio respiro negli sbuffi di fumo che si condensavano, un giochetto infantile che ognuno di noi ha fatto almeno una volta nella vita, bambini spensierati che fingono di essere adulti corrucciati che aspirano bramosi di catrame, bramosi di dimenticare in quegli attimi le loro preoccupazioni o che semplicemente si illudono di poterlo fare. Non avrei mai pensato di poter diventare uno di loro così velocemente, era troppo presto, ancora imberbe e senza ancora aver terminato la scuola, ma ormai mi sentivo tale, un insoddisfatto cinquantenne con lo sguardo di un diciassettenne dagli occhi profondi e vuoti”, leggiamo in un passo del libro, trascinati in quel confine tra l’infanzia e l’età adulta tanto labile quanto incomprensibile.
Sarebbe impossibile parlare di adolescenza senza parlare di scuola. Quel “carcere personale”, come lo definisce l’autore, viene descritto in tutta la sua fatiscenza e precarietà, con una critica molto amara. Non meno forti sono le considerazioni sui compagni di scuola e sui docenti: i primi considerati per larga parte dei conformisti, dediti unicamente alla legge dell’apparire, i secondi dei carnefici annoiati e sempre disposti a umiliare il malcapitato di turno. La più grande nota di biasimo mossa dall’autore nei confronti della scuola è di sembrare, ormai da decenni, una “fabbrica di operai, di schiavi”, sempre pronta a soffocare l’estro e le peculiarità individuali e incasellarla invece nei canoni di uno standard teorico, che mal sembra rispecchiare le necessità concrete degli studenti. Ciò non significa che l’autore disdegni la scuola, al contrario: desidera piuttosto che torni alla sua missione educativa con animo e senso di responsabilità: “La scuola che dovrebbe fornirci gli strumenti per ampliare la nostra visione esistenziale, condurci alla maturità attraverso il vertiginoso scorrere della coscienza; che dovrebbe darci il potere di frantumare gli schemi preimposti per renderci infine uomini e cittadini consapevoli, forma gregari, automi il cui unico scopo è completare il compitino assegnato, sottostare agli ordini imposti senza mai alzare lo sguardo dall’alto di pratiche competenze più che di strutturali conoscenze”.
La sezione più interessante del libro, tuttavia, è quella che trascende gli avvenimenti reali, concreti, per tuffarsi nel languore spirituale dell’autore. Chiuso nella sua cameretta, in un pomeriggio come tanti, si perde tra pensieri e riflessioni che lasciano trasparire l’indomita libertà di un pensiero che non cede ai condizionamenti esterni
. Attanagliato da visioni e incubi a occhi aperti, l’angoscia del protagonista è palpabile, come se la condizione di tribolazione in cui versa dovesse durare per sempre e l’unica via di fuga fosse soltanto l’immaginazione.
Rotondi non lesina sull’analisi delle varie manifestazioni del disagio giovanile. Il senso di noia lancinante dal quale non sembra trovare via di uscita è visto dall’autore come la causa principale dell’avvicinamento dei giovani alle sostanze, dunque alle dipendenze
. Non solo: la dissolutezza e la fame di adrenalina, il desiderio di andare oltre i limiti
in maniera a volte spericolata, addirittura la voglia di sfidare la morte senza lasciarsi intimorire, sono tutti elementi che riverberano nell’opera. Sono l’Eros e il Thanatos
, gli impulsi che dominano l’uomo e che emergono con forza durante l’adolescenza, inondando l’anima di un senso quasi di immortalità e onnipotenza.
L’abilità del giovane autore non si mostra soltanto nella prosa, ma anche negli scorci
poetici che inframezzano i capitoli. È in queste sezioni che si mostra la sua natura più intima e privata: spogliato dalla rigida corazza di sfrontatezza che il protagonista dimostra nei confronti di genitori, amici e professori, la poesia lo trasporta in luoghi lontani e immaginifici, lì dove l’anima trova pace e può esprimere il suo canto più melodioso. Non mancano interventi dolorosi, lancinanti, ma è proprio questa la ricchezza di un cuore che sa offrirsi in tutta la sua tenerezza e, a volte, fragilità: “Vorrei fotografare il mondo per come / lo vedono gli occhi miei, / per regalarlo a chi rinchiuso nelle convenute realtà / volge altrove il viso / divenendo così cieco e sordo / alle sfumature degli attimi”, recita uno dei suoi componenti. Le parole raccontano il desiderio di comunicare sé stesso per comprendere e lasciarsi comprendere, è il bisogno di scuotere le coscienze intorpidite dai giorni perché vedano, finalmente, il prisma colorato della vita. Tra sogno, speranza e furore, l’eloquenza di Simone Rotondi non passa di certo inosservata.
Lo stile dell’autore è singolare e ricercato: abile dominatore di un lessico forbito e a tratti aulico, Rotondi si cimenta nella ricerca delle corrette sfumature per comporre il suo affresco di parole, attingendo talvolta ai grandi della letteratura, talvolta ai miti classici, talvolta ancora ai più autorevoli esponenti del sapere nei più svariati ambiti. Manifesta pertanto non solo una grande curiosità, ma anche il desiderio di andare oltre il semplice “compito a casa” per introiettare realmente la conoscenza e saperla maneggiare. “La rinnegata generazione” è un manifesto generazionale, la testimonianza delle lotte e delle speranze di un presente che desidera costruire un futuro migliore. Muovendosi abilmente tra filosofia, sociologia, scienza politica ed economia, Simone Rotondi offre una visione articolata e penetrante di una società postindustriale in decadimento, ma è al contempo animato dalla speranza, incarnata nella figura mitologica di Elios. Auspicandone la resurrezione, l’autore chiama a una nuova responsabilità i giovani e gli adulti: i primi, affinché siano in grado di rendersi artefici del proprio destino, gli altri perché non siano più di ostacolo, ma di supporto
per le generazioni che verranno.
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