“Per un pugno di dollari”, un pistolero senza nome alle origini dello spaghetti western

Sono passati sessant’anni da quando abbiamo visto Clint Eastwood entrare a San Miguel con il poncho, il cappello e il sigaro in bocca, in un incipit praticamente muto che in poche scene ci scaraventa dentro il dramma del film: “Per un pugno di dollari” torna in sala nella versione restaurata in 4k dalla Cineteca di Bologna, Unidis Jolly Film, The Film Foundation, Hollywood Foreign Press Association, all’interno del progetto della Cineteca “Il Cinema Ritrovato”, in coppia con il film originario di Akira Kurosawa alla base del primo western di Sergio Leone, “Yojimbo – La sfida del samurai”.
In questo lasso di tempo, quell’immagine di Eastwood, il pistolero senza nome, replicata nei due titoli successivi, è diventata iconica e la filmografia di Sergio Leone, “sceneggiata” dalla musica di Ennio Morricone, è riconosciuta da registi e critici come fondativa di buona parte del cinema contemporaneo.

Con “Per un pugno di dollari” Leone anticipa il post moderno: i suoi personaggi sono cliché che lui smonta e rimonta. Non serve che abbiano un nome perché tu spettatore conosci già la loro funzione (come esplicita efficacemente il titolo conclusivo della trilogia, “Il buono, il brutto e il cattivo”). Sono figurine, cartoni animati, maschere: lo stesso Leone ha indicato più volte “Arlecchino servitore di due padroni” di Goldoni come riferimento per la trama, insieme alla tragedia greca, a Shakespeare e ovviamente al codice d’onore dei samurai giapponesi. Siamo nel mondo degli archetipi, nel cuore della favola (il “C’era una volta” della seconda trilogia) al quale viene strappata la morale. Il western di Leone è la fine del western americano classico: il suo è un mondo privo di eroi, e se viene fatta giustizia, è casuale, obiettivo secondario che si raggiunge quasi per caso, perché quello che guida i suoi protagonisti è altro, avidità, potere, vendetta, lussuria (proprio nell’ottica di questo stravolgimento Leone scrittura Henry Fonda, ovvero Tom Joad, Abramo Lincoln, Wyatt Earp, per il ruolo del cattivo in “Giù la testa”).

I pistoleri di Leone sono uomini che non hanno più niente da perdere: qualunque cosa abbiano mai avuto, famiglia, amore, genitori, tutto appartiene al passato. Sono uomini che hanno abbracciato un eterno presente e accettato la presenza continua della morte al proprio fianco. Joe (chiamano così il personaggio di Eastwood, ma lui non si è mai presentato. Joe è come dire “l’americano”) arriva in un luogo scarnificato, accolto da porte sprangate, finestre chiuse, bambini maltrattati e un cappio. San Miguel è un paese fantasma, “cadavere” dove l’unico che lavora è il becchino. È un misto di curiosità e indolenza, unita al fastidio nei confronti dei “padroni”, che porta questo “straniero senza nome” a mettersi in mezzo allo scontro tra i Baxter e i Rojo per aiutare Marisol e la sua famiglia, forse il lampo di un passato che risuona come uno sparo nella sua testa e subito si spegne.


Nasce qui (ed è una rivoluzione) la cifra stilistica di Leone, con il montaggio frenetico, le luci caravaggesche, le riprese del basso, i primi piani sulle risate sguaiate, gli zoom in avanti a intercettare gli sguardi e il sudore dei volti: Leone, in un villaggio spagnolo, su un set di seconda mano, con un budget ridicolo e una produzione fragile, affresca la terra di nessuno tra Texas e Messico meglio degli americani. Merito anche di uno staff prezioso, di due antagonisti che sono ghiaccio e fuoco (Gian Maria Volonté che accetta di interpretare Ramòn mette le basi per lo straordinario Indio del film successivo), dell’umorismo dei dialoghi e dei comprimari minori, della marcia funebre di Morricone e del fischio di Alessandroni, delle scenografie di Carlo Simi.

Questo piccolo film, western crepuscolare ma sfavillante girato nel momento in cui il genere scivolava verso il declino, buttato in sala a fine agosto, nel giro di poche settimane, grazie al passaparola, comincia a volare, fino a diventare il film più visto nelle sale cinematografiche italiane dell’intera stagione 1965-66, incassando tre miliardi e mezzo di lire: arrivato negli Stati Uniti raggiunge gli 11 milioni di dollari, dando vita a una lunga stagione di western italiano e proiettando la propria influenza sul grande cinema americano, consacrando Sergio Leone, l’italiano che ha rivenduto l’America agli americani. “Per un pugno di dollari” sarà proiettato al Jolly2 di San Nicolò lunedì 30 settembre, alle 21, mentre “Yojimbo – La sfida del samurai”, è in programma per lunedì 7 ottobre.

di Barbara Belzini

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