Aurelia: quel giorno che le ha cambiato la vita. In Sicilia e Burundi

30 Maggio 2017 18:57

Era agosto del 2015 quando dal divano di casa ha deciso di agire e fare qualcosa per gli altri. Si è collegata al sito di Msf, Medici senza Frontiere, che guardava spesso, indignandosi di fronte alle tragedie dei migranti e in quel momento le si è aperto un mondo; proprio in quei giorni, infatti, stavano cercando uno psicologo per le missioni in Italia. La vita di Aurelia Barbieri, trentanovenne piacentina, ha preso un senso diverso ed è cambiata nel giro di due settimane. “Ho spedito il curriculum e una lettera di motivazioni – racconta Aurelia- mi hanno chiamata per il colloquio che è andato bene e da lì a poco sono partita per la Sicilia. La prima missione è stata a Pozzallo dove c’era un centro di prima accoglienza poi ho lavorato in tutta la provincia di Ragusa in altri centri dove ho portato la mia esperienza di psicologa. Lì sono entrata in contatto con storie di cui si legge sui giornali e a cui la gente ormai si è assuefatta. I numeri di vittime che si registrano ogni giorno durante i viaggi della speranza nel Mediterraneo non fanno quasi più notizia. Ho incontrato ragazzi molto giovani senza un’alternativa, che hanno scelto di affrontare quei calvari perché non potevano fare altro. C’erano bambini di 10 anni partiti da soli perché le famiglie preferivano saperli in mare alla ricerca di un futuro che non a morire nel loro Paese. Il problema – prosegue Aurelia – è che una volta arrivati in Italia non potevano lasciarla e spostarsi liberamente negli altri Stati anche solo per raggiungere partenti che prima di loro ce l’avevano fatta”.

Aurelia, nel dicembre del 2016, si è poi spostata in Burundi dove è rimasta per 5 mesi. “Lavoriamo per missioni di qualche mese fino ad un massimo di un anno e sono sempre mobili. Nella capitale del Burundi abbiamo gestito un centro traumi presso un ospedale – spiega la psicologa piacentina – dove arrivavano persone vittime di conflitti, di violenze sessuali oppure bambini ustionati. La cosa bella di Msf è che, in tutti i progetti, alla cura della salute fisica viene sempre affiancato il sostegno psicologico. In particolare mi occupavo di supervisionare un team di salute mentale con tre professionisti del luogo. Il nostro obiettivo infatti è di non sostituirci a un bisogno ma di affiancare le risorse locali in modo da renderle autonome”. A fine giugno Aurelia ripartirà ma non conosce ancora la destinazione. A parlare oltre alla sua voce sono gli occhi, pieni di una luce che stravolge e illumina i pensieri. Non ama definire la sua scelta di vita coraggiosa perché è semplicemente ciò che vuole fare e che la rende piena, appagata e felice. Certo gli affetti mancano ma “i rapporti non esistono solo se ti vedi o se ti tocchi, sono dentro di noi”. Il primo piatto consumato una volta tornata a casa? “Gli anolini naturalmente. Mia mamma ha iniziato a chiedermelo due settimane prima del rientro”. Nulla a che vedere con le foglie di manioca e le banane saltate in padella (lei giura buonissime) consumate in Burundi.  “Con me porto il ricordo di colleghi che arrivavano da ogni parte del mondo e di quei bambini che mi salutavano dal balcone e camminavano per le strade a piedi nudi divertendosi con poco”.

 

 

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