Femminicidio Aurora, il direttore Rocco commenta la sentenza

Tre i concetti fondamentali: è un omicidio, in un anno si è chiusa un'indagine complessa e si è arrivati a un primo pronunciamento, il condannato è un minore

Gian Luca Rocco
Gian Luca Rocco
|1 mese fa
Aurora, dedica della zia
Aurora, dedica della zia
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Dopo poco più di anno siamo arrivati alla prima verità processuale del caso che più ha sconvolto la nostra comunità: la morte di Aurora Tila, caduta, a questo punto spinta, giù dal terrazzo della sua casa di via IV Novembre. In poche parole: uccisa. Diciassette anni di condanna, vedremo poi nei seguenti gradi di giudizio se saranno confermati o meno, possono essere considerati tanti o pochi. Non sta a me giudicarlo.
Quello che mi preme evidenziare sono tre concetti fondamentali: primo, si è trattato di un omicidio e va sottolineato. Siamo di fronte alla vittima di femminicidio più giovane in Europa. E questo dovrebbe farci riflettere tutti, allargare il discorso dal fatto concreto alla condizione della donna ma soprattutto dei nostri ragazzi, pienamente avvinghiati alle radici di logiche che hanno ancora troppo a che fare con il possesso e con quello che qualcuno chiama patriarcato. Fino a quando un ragazzino di 16 anni penserà che una bimba di 13 sia "sua", la nostra società non può che chiedersi dove stia sbagliando.
La seconda riflessione riguarda, per una volta, la tanto vituperata giustizia italiana e le tanto discusse forze dell’ordine. A Piacenza, e Bologna, in un anno si è chiusa un’indagine complessa e si è arrivati ad una prima sentenza. Aurora, oggi, ha giustizia e in poco tempo. Non è un dato da sottovalutare; come stigmatizziamo ritardi, inchieste proditorie o infinite e sentenze incomprensibili, così dobbiamo fare i complimenti a tutti coloro che dal primo minuto si sono impegnati per dare un senso ad una storia orribile. 
Terza e ultima considerazione: chi è stato condannato è un minorenne. Ricordiamo che il compito della pena non è soltanto la punizione del reo e l’effetto dissuasivo nei confronti dei cittadini, ma al giorno d’oggi l’accento dovrebbe vertere soprattutto sulla rieducazione del condannato e sul suo futuro reinserimento nella società. Se di questo ragazzino non ne sentiremo più parlare (processi di appello e cassazione a parte), la nostra società avrà segnato un punto a suo favore. Intanto Aurora può finalmente riposare in pace. Ma solo se la sua triste storia servirà a evitarne altre. Altrimenti sarà solo una panchina rossa.