“L’orafo del Vesuvio”, romanzo storico ambientato poco prima dell’eruzione vulcanica
29 Aprile 2024 18:27
Rodolfo Hachfeld, autore de “L’orafo del Vesuvio”, pubblicato dal Gruppo Albatros Il Filo, nasce in Svizzera nel 1949 e vive oggi in Cilento, è laureato in Economia a indirizzo storico e ha lavorato come Direttore di banca nella sede centrale della Citibank Italia. In pensione da alcuni anni, coltiva i suoi interessi anche nel senso più letterale del termine, lavorando la propria terra per produrre vino, olio e fichi: dedito alla scrittura, alla lettura e alla poesia, ha partecipato a importanti premi letterari, tra cui il Premio Internazionale di Poesia di Napoli e il Concorso annuale di Poesia di Città di Castello. Autore di due precedenti opere (Gli Antagonisti. Una storia quasi vera della Napoli greco-romana” e “Una passeggiata… verso l’immortalità dei Greci”), torna a cimentarsi nella stesura di un romanzo storico con la sua terza opera “L’orafo del Vesuvio”, che racconta la storia di Decimus e Tertius ambientata sul Golfo di Napoli in quell’arco di tempo che si svolge poco prima dell’eruzione del Vesuvio fino a quel tragico evento. Come si intuisce dai titoli delle sue opere e dal suo indirizzo di studi universitari, l’autore nutre un profondo interesse per la storia, o meglio una vera e propria passione che si riflette chiaramente sulle pagine del suo romanzo: la narrazione che imposta sulla trama un ritmo placido ma deciso, è ricca di dettagli riguardanti la quotidianità e la vita di quei personaggi che popolavano Napoli, allora Neapolis, quasi duemila anni fa.
Le loro abitudini e i loro antichi utensili, le usanze e i riti del politeismo romano
, ogni aspetto della vita dei protagonisti viene raccontata con perizia dall’autore che, dimostrando grande padronanza dell’argomento oltre che una grande accuratezza narrativa, riesce a distribuire all’interno della trama queste informazioni essenziali per comprendere appieno e immergersi completamente nella storia, senza doversi soffermare a spiegarli troppo, ma sempre inserendoli in un contesto di per sé esplicativo: “Decimus disponeva di una bella rete derivante, della lunghezza di circa 50 Passus (quasi 80 metri, 1 Passus = 1,40 metri), fatta di maglie piuttosto ampie di fibra di ginestra, larga un Passus e mezzo, adatta alla pesca delle salpe e dei giovani tonni. Preparò anche un sacco in cui erano contenuti i pesi di terracotta, da appendere ad intervalli regolari alle maglie inferiori per mantenere teso il lungo attrezzo da pesca. Aiutato dal fratello, sistemò a bordo la balla ingombrante della rete e il sacco dei pesi forati; tirò su l’ancora di pietra e salpò alla volta di Neapolis con Gaius fischiettante una canzoncina per bambini”. Basta un solo paragrafo all’autore per spiegare il funzionamento e la composizione delle reti da pesca e l’unità di misura usata per calcolarne la lunghezza e, con altrettanta efficace brevità nelle frasi successive non mancherà di descrivere l’imbarcazione utilizzata come peschereccio e le suggestive ambientazioni in cui si svolgono le vicende. La narrazione dal respiro calmo e profondo è caratterizzata dalla
minuziosità descrittiva dell’autore che si sofferma a raccontare gli scenari e i gesti che compongono la storia sempre non più del tempo necessario, ma non meno di quanto sia indispensabile per comprendere la quotidianità di quell’antica cultura in cui noi stessi affondiamo le radici.
“L’orafo del Vesuvio” è un affascinante romanzo storico, tanto serafico nel suo svolgimento quanto emotivamente intenso nel suo epilogo, originale perché non adotta i toni epici caratteristici del genere e non orbita attorno agli eventi di un particolare mito, né a un famoso personaggio storico o leggendario: Rodolfo Hachfeld pone il suo sguardo e si dedica a raccontare la vita di due semplici popolani, frutto della sua immaginazione ma al contempo plausibili e realistici proprio grazie alla dovizia di particolari con cui l’autore descrive ogni aspetto di quel frangente della loro vita che si svolge poco prima dell’eruzione del Vesuvio. Questo catastrofico evento infrange la serenità narrativa dell’opera e impone un tono sempre più carico di preoccupazione e ansia man mano che procede verso l’epilogo: i momenti che precedono l’eruzione vengono raccontati dagli occhi di quegli atavici abitanti di Napoli che attribuiscono gli eventi all’ira divina, coinvolgendo i lettori nel loro suggestivo punto di vista contemporaneamente fragile e risoluto.
È un’opera evocativa e magnetica, il racconto di un’antica storia capace di tenere il lettore incollato alle sue pagine, evidentemente frutto dell’esperienza narrativa del suo autore e degli approfonditi studi relativi a quel periodo storico dell’impero Vespasiano. Con voce limpida e pragmatica, si concentra su eventi che non coinvolgono un’epopea eroica ma la vita quotidiana dei protagonisti, allo stesso tempo sia molto semplice che incredibilmente complessa, fatta di riti, usanze, credenze e gesti che racchiudono le nostre origini e di cui ancora oggi si può sentirne l’eco.
“Così salmodiando, il corteo si incamminò verso il mare lungo la via dedicata al Dio Nettuno”, racconta l’autore a proposito di uno dei riti dedicati al Dio del mare, a cui il protagonista è molto devoto: “Quando la piccola folla giunse al vicino litorale, una ventina di loro inforcò i cavalli laziali che li aspettavano ed improvvisarono una veloce corsa rituale sulla battigia, tornando nel giro di poco. Smontarono e si diressero verso i due templi, le cui porte erano state aperte dai rispettivi sacerdoti. La statua di legno dorato del Dio, custodita nel tempio a lui dedicato e situato sopra il porto, sopra una insenatura a circa quattromila Passus, venne portata in processione fino al centro dell’area sacra. A quel punto i fedeli ricominciarono a cantare l’inno”.
In tutta l’opera si alterano e mischiano il pragmatismo della quotidianità dei personaggi e la solennità del loro credo, contribuendo a delineare chiaramente il loro profilo caratteriale e psicologico, così facendo l’autore dona loro spessore e realismo, nessuno risulta mai diverso da ciò che dovrebbe essere: nessuna sbavatura o riflessione decontestualizzata, ognuno di loro appartiene perfettamente al tempo in cui si colloca la storia raccontata in “L’Orafo del Vasuvio”. Risulta perciò una lettura tanto affascinante quanto istruttiva, che racconta molte curiosità senza doverle spiegare come farebbe un professore di storia, ma mostrandole vividamente in una storia stimolante e piacevole, capace di coinvolgere ed emozionare, ma soprattutto preziosa perché capace di insegnare e raccontare quei piccoli gesti quotidiani che rendono quei personaggi storici non più bidimensionali, come raffigurati nei libri di testo scolastici, ma credibili, tridimensionali a tutti gli effetti, con le proprie paure da affrontare, i crucci e le riflessioni contestuali a proposito di quel mondo ancora tutto da conoscere, ancora carico di presagi divini e antiche superstizioni, dove gli uomini muovono i loro primi passi: un mondo fatto di tradizioni, usanze e pensieri che l’autore rivela in quest’opera.
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