“Lo specchio” accoglie la storia di Giulia Cagnolati, mamma adottiva

04 Giugno 2024 22:00

L’adozione è un’avventura emotiva e trasformativa, capace di arricchire profondamente sia come individui che come coppia. Ogni tappa del percorso adottivo rappresenta un momento di crescita e di scoperta, a partire dall’incontro iniziale con gli assistenti sociali, dove si gettano le basi di un viaggio che cambierà la vita. Nella ventunesima puntata di “Lo specchio di Piacenza”, format ideato e condotto dalla direttrice Nicoletta Bracchi, i riflettori hanno indugiato su Giulia Cagnolati, responsabile del Centro per le Famiglie del Comune, che ha raccontato la sua esperienza di mamma adottiva:

“Abbiamo deciso, io e mio marito Stefano, di adottare perché volevamo creare una famiglia. L’idea dell’adozione non è nata da un gesto di generosità, ma da un desiderio profondo e genuino di avere un progetto familiare. Ci siamo resi conto che la strada dell’adozione è piuttosto impervia, richiedendo una notevole resistenza sia psicologica che economica. Le adozioni internazionali comportano costi elevati e una serie di difficoltà logistiche e burocratiche che possono sembrare insormontabili. Chi decide di adottare si prepara a portare in casa il mondo intero, con tutte le sue bellezze ma anche con le sue complessità. I paesi di origine dei bambini adottati spesso hanno leggi che cambiano di frequente, creando ulteriori incertezze e ostacoli lungo il percorso”.

Cagnolati parla dei suoi due figli Mangal e Mo, ormai giovani uomini, e del primo incontro: “Per Mangal abbiamo affrontato cinque lunghi anni di attesa prima di poterlo abbracciare. Nel corso di questo periodo, il Nepal aveva deciso di cambiare le leggi sull’adozione e le difficoltà sono aumentate. In quei momenti di incertezza mi sono spesso chiesta che tipo di mamma avrei voluto essere. Ho capito che desideravo essere una mamma in grado di lottare per i suoi figli, una mamma che, nonostante le avversità, non si arrende. La prima volta che abbiamo incontrato nostro figlio eravamo agitatissimi. Era il 20 dicembre del 2006 quando siamo partiti per Katmandu. Appena arrivati, ci hanno accolto e accompagnato, a bordo di un pulmino verso l’orfanotrofio situato fuori dalla città. Con Mangal abbiamo trascorso una settimana in una stanza dell’edificio, giocando e disegnando insieme. Il suo sorriso e la sua energia ci hanno subito conquistati. All’epoca aveva sei anni”.

Partire per l’adozione è un’esperienza che cambia l’orizzonte del destino: “E lo dico sempre alle coppie che intraprendono questo percorso: non si torna indietro. Il mio secondo figlio, Mo, è nato in Cina, era stato abbandonato alla nascita. Quando lo abbiamo visto per la prima volta, era un bambino pallidissimo con i capelli rasati, paralizzato dalla tensione. Non parlava nemmeno in cinese con le assistenti del luogo. Tuttavia, quella era solo l’ansia del momento, perché Mo è un ragazzo molto loquace. Abbiamo passato tre settimane in Cina, cercando di creare un legame con lui. Ricordo il suo sguardo profondo quando gli abbiamo regalato delle costruzioni Lego, il suo gioco preferito. Il momento decisivo è avvenuto in camera d’albergo, con un innocente scherzo che mi fece. Quell’istante di leggerezza è stato il primo passo verso la costruzione di una relazione di fiducia”.

E poi c’è il ricordo della Giulia bambina: “Ho avuto la fortuna di essere cresciuta da due mamme, mia madre biologica e mia zia. Chi mi ha messa al mondo mi ha lasciata quando avevo solo quattro anni a causa di una malattia. Crescere senza di lei è stato difficile, e spesso mi ritrovo a pensare a tutte le cose che mi sono mancate”. Ci sono domande che non si dovrebbero porre ad un genitore adottivo?: “Sì, e sono tante anche se cerco di essere tollerante. Capisco che – aggiunge la dott.ssa Cagnolati – chi non ha esperienza diretta con l’adozione possa non avere contezza di tutta una serie di cose, ma è comunque sgradevole sentirsi dire “quanto sei generosa e brava per aver adottato”. Non sono una filantropa, né io né mio marito lo siamo. I miei figli non sono un progetto di beneficenza, sono semplicemente i miei figli. Il nostro compito è amarli, crescerli e guidarli, proprio come qualsiasi altro genitore”. È fondamentale per le famiglie adottive confrontarsi e condividere le proprie esperienze: “Gli incontri permettono di scoprire che non si è soli, ma si sta vivendo una realtà comune, fatta delle stesse storie, difficoltà e gioie. Il supporto che nasce da queste connessioni è determinante. Consiglio a chiunque intraprenda il percorso dell’adozione di unirsi a questi gruppi. Il Comune di Piacenza promuove attivamente gli incontri”. C’è il titolo di un libro di David Grossman che Giulia prende a prestito: “Mi riferisco all’espressione “bambini a zig zag”, definizione adeguata che cattura la complessità delle loro vite frammentate tra due mondi. Questi bambini vivono la loro storia in parte in un luogo e in parte in un altro, con una frattura che li divide tra chi li ha partoriti e chi ha assistito alle loro prime parole”.

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