Più pensioni che stipendi: allarme della Cgia, a Piacenza saldo positivo

25 Agosto 2024 02:01

L‘Ufficio studi dell’Associazione artigiani e piccole imprese Cgia di Mestre, sulla base di dati Inps e Istat, ha analizzato il saldo tra il numero di occupati e le pensioni erogate nel 2022 in Italia. Dall’elaborazione emerge che nel Sud Italia si pagano più pensioni che stipendi ma, nel giro di qualche anno, il sorpasso è destinato anche al resto del Paese.

Piacenza si colloca al 35esimo posto della classifica delle province italiane, gli occupati sono 125mila mentre le pensioni erogate 120mila.

L’ANALISI DELL’UFFICIO STUDI DELLA CGIA DI MESTRE

Nel Mezzogiorno si pagano più pensioni che stipendi, ma nel giro di qualche anno il sorpasso è destinato a compiersi anche nel resto del Paese. Secondo alcune previsioni, entro il 2028 sono destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età 2,9 milioni di italiani, di cui 2,1 milioni sono attualmente occupati nelle regioni centro-settentrionali.

E’ evidente, visto la grave crisi demografica in atto, che difficilmente riusciremo a rimpiazzare tutti questi lavoratori che non saranno più tenuti a timbrare il cartellino ogni giorno.

Insomma, gli assegni erogati dall’Inps sono destinati a superare le buste paga degli operai e degli impiegati occupati nelle nostre fabbriche e nei nostri uffici, anche nelle ripartizioni geografiche del Centro e del Nord, mettendo così a rischio la sostenibilità economica del nostro sistema sanitario e previdenziale.

Gli ultimi dati disponibili che ci consentono di effettuare un confronto tra il numero degli addetti e quello delle pensioni erogate agli italiani sono riferiti al 2022.

Ebbene, se allora il numero dei lavoratori dipendenti e degli autonomi sfiorava i 23,1 milioni, gli assegni corrisposti ai pensionati erano poco meno di 22,8 milioni (saldo pari a +327mila). Qualcuno potrebbe legittimamente osservare che rispetto al 2022 le cifre sono cambiate, in particolare quella riferita agli occupati.

Obiezione più che condivisibile; infatti, il numero degli addetti in Italia è aumentato e in attesa che l’Inps aggiorni le proprie statistiche, è altrettanto ragionevole ritenere che anche il numero delle pensioni corrisposte in questo ultimo anno e mezzo sia cresciuto, addirittura in misura superiore all’incremento dei lavoratori attivi.

Questa analisi è stata realizzata dall’Ufficio studi della Cgia che ha elaborato i dati dell’Inps e dell’Istat.

AL SUD LE REALTA’ PIU’ “ASSISTITE”

Dall’analisi del saldo tra il numero di occupati e le pensioni erogate nel 2022, la provincia più “squilibrata” d’Italia è Lecce: la differenza è pari a -97mila.
Seguono Napoli con -92mila, Messina con -87mila, Reggio Calabria con -85mila e Palermo con -74mila. Va segnalato che l’elevato numero di assegni erogati nel Sud e nelle Isole non è ascrivibile alla eccessiva presenza delle pensioni di vecchiaia/anticipate, ma, invece, all’elevata diffusione dei trattamenti sociali o di inabilità.
Un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da quattro fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, il progressivo invecchiamento della popolazione, un tasso di occupazione molto inferiore alla media UE e la presenza di troppi lavoratori irregolari.
La combinazione di questi fattori ha ridotto progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossato la platea dei percettori di welfare.  Un problema che non riguarda solo l’Italia; purtroppo, attanaglia tutti i principali paesi del mondo occidentale.

SITUAZIONE “SQULIBRATA” ANCHE IN 11 PROVINCE DEL NORD

Nei prossimi anni la situazione è prevista in netto peggioramento in tutto il Paese, anche nelle zone più avanzate economicamente.

Tuttavia, già oggi ci sono 11 province settentrionali che al pari della quasi totalità di quelle meridionali registrano un numero di pensioni erogate superiore alle buste paga corrisposte dagli imprenditori ai propri collaboratori.

Esse sono: Sondrio (saldo pari a -1.000), Gorizia (-2mila), Imperia (-4mila), La Spezia (-6mila), Vercelli (-8mila), Rovigo (-9mila), Savona (-12mila), Biella (-13mila), Alessandria (-13mila), Ferrara (-15mila) e Genova (-20mila). Tutte le 4 province della Liguria presentano un risultato anticipato dal segno meno, mentre in Piemonte sono tre su otto.

Delle 107 province d’Italia monitorate in questa analisi dell’Ufficio studi della Cgia, solo 47 presentano un saldo positivo: le uniche realtà territoriali del Mezzogiorno che registrano una differenza anticipata dal segno più sono Cagliari (+10mila) e Ragusa (+9mila).

MILANO, ROMA E BRESCIA LE REALTA’ PIU’ VIRTUOSE

A livello territoriale la realtà più virtuosa d’Italia è la Città metropolitana di Milano (differenza tra il numero delle pensioni e gli occupati pari a +342mila). Seguono Roma (+326mila), Brescia (+107mila), Bergamo (+90mila), Bolzano (+87mila), Verona (+86mila) e Firenze (+77 mila). Tra le province del Centro, infine, spiccano i risultati delle toscane: come Prato (+33mila), Pisa (+14mila) e Pistoia (+6mila)

Cosa fare SECONDO LA CGIA DI MESTRE

Secondo la Cgia di Mestre, con sempre meno giovani e sempre più pensionati il trend può essere invertito in tempi medio-lunghi solo allargando la base occupazionale. Come? Innanzitutto portando a galla una buona parte dei lavoratori in “nero” presenti nel Paese.

Stiamo parlando di coloro che svolgono un’attività lavorativa irregolare che, secondo l’Istat, ammontano a circa 3 milioni di persone che ogni giorno si recano nei campi, nei cantieri, nelle fabbriche o nelle abitazioni degli italiani a svolgere la propria attività lavorativa senza rispettare le norme fiscali, contributive, assicurative, contrattuali, etc.

E’ altresì necessario incentivare ulteriormente l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, visto che siamo fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile (pari al 50 per cento circa).

Inoltre, bisogna rafforzare le politiche che incentivano la crescita demografica (aiuti alle giovani mamme, alle famiglie, ai minori, etc.) e allungare la vita lavorativa delle persone (almeno di quelle che svolgono un’attività impiegatizia o intellettuale). Se non faremo tutto ciò in tempi relativamente brevi, fra qualche decennio i bilanci della nostra sanità e della previdenza rischiano di implodere.

Un Paese che registra una popolazione sempre più anziana potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici e a mantenere i livelli di ricchezza sin qui raggiunti; in particolar modo a causa dell’aumento della spesa sanitaria, pensionistica, farmaceutica e di assistenza alle persone.

Va altresì segnalato che con una presenza di over 65 molto diffusa, alcuni importanti settori economici potrebbero subire dei contraccolpi negativi.

Con una propensione alla spesa molto più contenuta della popolazione giovane, una società costituita prevalentemente da anziani rischia di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo (HoReCa).

Per contro, invece, le banche potrebbero contare su alcuni effetti positivi; con una maggiore predisposizione al risparmio, le persone più anziane dovrebbero aumentare la dimensione economica dei propri depositi, suscitando la contentezza degli istituti di credito.

LE PENSIONI EROGATE IN ITALIA

Pensione ai superstiti. Trattamento pensionistico erogato ai superstiti di pensionato o di assicurato in possesso dei requisiti di assicurazione e contribuzione richiesti.

Pensione assistenziale. Prestazione erogata a cittadini con reddito scarso o insufficiente, inferiore ai limiti di legge e indipendentemente dal versamento di contributi, a seguito del raggiungimento del limite di età previsto dalla normativa o per invalidità non derivante dall’attività lavorativa svolta.

Pensione di invalidità. Prestazione non reversibile legata al versamento di contributi per almeno cinque anni dei quali tre nell’ultimo quinquennio e al riconoscimento, da parte degli organi competenti dell’Ente previdenziale, della riduzione permanente della capacità di lavoro dell’assicurato a meno di un terzo. L’assegno è compatibile con l’attività lavorativa. Ha durata triennale e confermabile per periodi della stessa durata. Dopo il secondo rinnovo l’assegno è considerato permanente. Al compimento dell’età pensionabile l’assegno ordinario di invalidità si trasforma in pensione di vecchiaia.

Pensione di vecchiaia. Trattamento pensionistico corrisposto ai lavoratori che hanno raggiunto l’età stabilita dalla legge per la cessazione dell’attività lavorativa nella gestione di riferimento e che sono in possesso dei requisiti contributivi minimi previsti dalla legge.

Pensione indennitaria. Rendita corrisposta a seguito di un infortunio sul lavoro, per causa di servizio e malattia professionale. La caratteristica di queste rendite è di indennizzare la persona per una menomazione, secondo il livello della stessa, o per morte (in tal caso la prestazione è erogata a superstiti) conseguente a un fatto accaduto nello svolgimento di una attività lavorativa.

 

 

 

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