Torna “C’era una volta in America”, danzando con il tempo tra violenza e rimpianti

De Niro e Woods nel capolavoro diretto da Sergio Leone

Non so quante volte ho visto “C’era una volta in America”, almeno una ventina, tra la prima versione del 1984 e quella restaurata del 2012 con la reintroduzione dei segmenti tagliati. So le battute a memoria, le pronuncio a fior di labbra insieme a loro. Non mi stanco mai della folle ambizione di Max, della determinazione di Deborah (”I vincenti si riconoscono alla partenza”), dell’integrità di Noodles.
Non mi stanco mai di questo filmone che parla d’amore e di violenza, di nostalgia e ricordo, di tempo e di rimorso, di tutte le cose che contano davvero.
A quarant’anni dal suo debutto, “C’era una volta in America” torna nei cinema italiani, grazie a Lucky Red in collaborazione con Leone Film Group, per la prima volta in 4K, ovviamente nella versione del 2012.

Il manifesto italiano originale

Non mi interessa, non dovrebbe interessare a nessuno se il “presente” del film è composto da avvenimenti reali o se è tutto un sogno di Noodles intontito e sorridente nella fumeria d’oppio: è una domanda irrilevante, e giustamente quest’opera monumentale e Sergio Leone si rifiutano di rispondere.
Questo non è solo un film, è un invito a una danza con il tempo, con quello che siamo, con quello che eravamo e con quello che saremo. Non a caso la migliore biografia su Leone, scritta da Sir Christopher John Frayling, si chiama “Something to do with death”: “Quello che Leone stava cercando di fare era reincantare con il cinema: nello stesso momento in cui esprimeva il proprio disincanto nei confronti del mondo contemporaneo trasmetteva la grande esaltazione personale che provava quando guardava e faceva i film”.
A Leone non è mai interessato il presente, lui voleva il mito proiettato sullo schermo. I suoi personaggi sono dèi fatti uomini, e ancora prima bambini. E infatti, come scrisse all’epoca dell’uscita del film la famosa critica cinematografica Pauline Kael, “É come guardare l’infanzia degli dèi”.
“C’era una volta in America” è il tradimento del sogno americano degli immigrati: Max e Deborah sono la nuova America, che cerca il denaro, il successo, la fama, la libertà. Noodles invece ama la puzza della strada, e il suo sogno ruota solo intorno a Deborah: è per lei che prova a essere Gatsby ma quando viene respinto, quando si scontra con un sogno più forte, non può fare altre che tornare all’unica cosa che conosce, la violenza. Dopo quel gesto, e con il rimorso di aver lasciato morire i propri amici, Noodles si punisce con una vita da eremita, e dopo tanti anni, quando Max gli confessa di averlo ingannato, di aver preso i suoi soldi, la sua donna, e di avergli lasciato 35 anni di rimorso per averlo ucciso, finge di non riconoscerlo.

Jennifer Connelly giovanissima DeborahA Patsy e Cockeye è rimasta una bara, a Moe il bar dei genitori, a Carol un posto in un pensionato e dei ricordi confusi. E Noodles è rimasto a guardare, da lontano, come ha sempre fatto, fin da quando era bambino e spiava Deborah che ballava da un buco nelle assi del magazzino dei genitori.
Ma tornando alla violenza, se pistola alla tempia mi chiedessero qual è la mia scena preferita del mio film preferito, non direi quella scena che pure sta nel cuore di tutti: sceglierei quel momento di purissima tensione nel club, quando Noodles mescola il caffè nella tazzina per un intero minuto, mentre la macchina da presa fa il giro di tutti i volti nella stanza per chiudere su Max. Si sente solo il rumore del cucchiaino, si vedono gli sguardi interrogativi e imbarazzati, e in quel silenzio tintinnante si gioca un’intera partita di potere, la malavita libera e anarcoide di Noodles contro la criminalità di sistema di Max, fatta di simboli, da Carol la donna oggetto al trono su cui è seduto, appartenuto a un papa.
Del resto i “mezzieroi” di Leone sono da sempre ancorati a un codice d’onore antico e personale, anarchico, che li lascia da soli sul terreno. In tutti i suoi film, il progresso e il futuro sono una tentazione che porta al tradimento nei confronti di un passato mitico, quello del bambino davanti a un grande schermo pieno di eroi veri. É per quel bambino con gli occhi sgranati che Leone metteva in scena i suoi personaggi. É lo stesso bambino per cui lavora Spielberg, e tutti quelli che hanno la malattia del cinema nel sangue. Leone era un uomo nato nel cinema e morto cercando di fare un altro film, ancora uno, ancora più definitivo, ancora più testamentario e funereo, la Russia dopo l’America, Stalingrado dopo New York.
“C’era una volta in America” sarà in programma al Jolly2 di San Nicolò lunedì 28 ottobre in versione originale sottotitolata e martedì 29 ottobre doppiato in italiano.

di Barbara Belzini

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