Cento volte «Marcello!» Mastroianni, il secolo di un’icona attore della sensibilità

Il bacio tra Mastroianni e Anita Ekberg ne “La Dolce Vita” di Federico Fellini

Anche i pochi che non hanno visto quel capolavoro del ‘60 che è “La dolce vita” di Federico Fellini avranno comunque ben in mente ‘la scena della Fontana di Trevi’, dove Marcello, il giornalista, segue la bella attrice Sylvia per un bagno notturno tra le acque della fonte, in una Roma deserta. Quella sequenza dal sapore onirico-sacrale, eppure così pop, è figlia della mente geniale di Fellini e delle penne sottili dei suoi collaboratori: Flaiano, Pinelli, Rondi. Ma è anche il frutto di un Marcello Mastroianni in stato di grazia (forse un po’ ebbro per recitare nel gelo di febbraio), al fianco di un’indimenticabile Anita Ekberg. Si parla tanto del Mastroianni feticcio felliniano, del Mastroianni icona italiana, di quello bellissimo e antidivo, e dell’altro allegro e sornione vicino ai mostri sacri della commedia. Forse, però, si parla troppo poco del Mastroianni grande attore: capace di giocare su toni leggeri e sfumati, su quelle microespressioni che rendevano i suoi personaggi simili e al contempo diversi. L’istrionismo dell’attore ciociaro non somigliava per niente a quello a cui Hollywood ci ha abituato negli ultimi tempi: nessuna protesi, poco trucco, niente vertiginosi aumenti o perdite di peso. Era molto distante persino dal trasformismo di un altro gigante del cinema italiano, Gian Maria Volontè, che giocava con gli accenti, con le fisicità. No, Mastroianni era diverso: azzardando una metafora musicale, si può dire che il suo istrionismo vivesse di adagio e note pizzicate. La sua formazione avvenne infatti a teatro, sotto la guida scrupolosa di Luchino Visconti e sui testi di grandi drammaturghi come Shakespeare, Cechov e Tennesee Williams. Dai grandi imparò quella delicatezza e quella semplicità del gesto artistico, ma la vocazione alla fragilità e un certo senso della misura, che lo hanno sempre portato a muoversi in zone grigie, erano doti innate. Ridendo di sé, le imputava al fatto di essere nato sotto il segno della bilancia: una sorta di condanna all’equilibrio. «La parola che uso con maggiore frequenza è “ambiguo”. Nei compromessi sono irraggiungibile – confessò in un’intervista rilasciata ad Oriana Fallaci – mi si addice il cinema, questo lavoro fatto di ombre. Gli uomini del mio tipo sono coscienti di tutto, perfino della loro incoscienza. A che cosa gli serve? A essere infelici. Io sono infelice». Probabilmente questa coscienza assoluta non serviva solo a essere infelice, ma anche a essere un grande artista.

Mastroianni e Fellini scherzano sulla spiaggia

Un attore della complessità, Mastroianni, limitato dalla maschera del bravo ragazzo nei primi, numerosi, film e come liberato nel suo potenziale creativo, a 35 anni, dal ruolo nel capolavoro del ‘60. Da lì, un numero sterminato di interpretazioni, di cui molte a tinte sfumate, sostenute dalla volontà di liberarsi di un’ulteriore maschera, quella del latin lover, che gli venne attribuita, specie all’estero. Nel corso degli anni, inframmezzati tra una serie di altri personaggi, ecco arrivare: Antonio Magnano, il giovane impotente protagonista de “Il bell’Antonio” di Mauro Bolognini (1960); Domenico Soriano, ottimo rappresentante del maschio ‘dalla doppia morale’ in “Matrimonio all’italiana” di Vittorio De Sica (1964); Gabriele, l’ex radiocronista dell’Eiar, licenziato perché omosessuale, in “Una giornata particolare” di Ettore Scola (1977). In questi ultimi due film, Mastroianni recita a fianco di Sophia Loren, nel segno di un sodalizio artistico che conta 14 film, tutti ben presenti nell’immaginario collettivo degli italiani. Lui definì la Loren: «Non solo una brava attrice, ma una persona vera». E lei lo ha sempre ammirato, celebrato, ancora oggi, nelle ultime interviste per i suoi illustri 90 anni.
Mastroianni, invece, lo scorso 26 settembre di anni ne avrebbe compiuti 100. Il secolo di un grande attore, che ancora oggi ispira generazioni, persino quelle più giovani, rifulgendo sugli schermi verticali dei social e su quelli orizzontali nelle sale dei cinema d’essai che non smettono di proiettare i classici. Eccolo, dunque, comparire nelle homepage di Instagram e Tiktok in occasione di una celebrazione continua messa in moto dalle molte pagine dedicate alla settima arte e dalla gente comune, che continua a celebrare il suo talento, la sua iconicità. Lo si vede nelle vesti del regista in crisi creativa intento a dialogare con Claudia Cardinale in “8 e mezzo” di Fellini (1963); in quelle dello scrittore errante ne “La notte” di Michelangelo Antonioni (1961), tacito alle spalle di Jeanne Moreau e Monica Vitti; ma anche nei panni dell’anziano padre con i baffi grigi, che cerca di recuperare un po’ di tempo con il ‘figlio’ Massimo Troisi in “Che ora è” di Ettore Scola (1989).
Cento anni, 160 film, una storia sconfinata, che prosegue su vari supporti, al di là del tempo e della morte. Torino, Rimini, Roma, in questo autunno sono tante le città che hanno deciso di dedicare una mostra al grande attore, per non parlare delle numerose rassegne a lui dedicate in ogni angolo della Penisola e all’estero dove, tutt’ora, se dici che sei italiano, è probabile che rispondano: «Pizza, pasta e Mastroianni».

di Leonardo Chiavarini

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