“Il grande freddo”, anche i ragazzi degli anni Sessanta hanno il loro amarcord

Era il 1984, quando in Italia arrivò nelle sale (un anno dopo gli Stati Uniti) “Il grande freddo” di Lawrence Kasdan. Era il suo secondo lavoro da regista, dopo “Brivido caldo” del 1981. E per fortuna, anche per questo ritroviamo nel cast William Hurt – che il collega Jeff Goldblum, intervistato qualche settimana da Libertà, ha definito «un attore dalle doti meravigliose».
“The Big Chill” (questo il titolo originale, una volta tanto mantenuto nel suo significato originale, da una frase che pronuncia Nick, interpretato da William Hurt e segnato dall’esperienza in Vietnam) è il film più personale di Kasdan, che voleva raccontare la storia della sua generazione. Due anni dopo, il regista si dedicherà al western “Silverado” richiamando sul set Jeff Goldblum, Kevin Kline e Kevin Costner. Quest’ultimo, nel “Grande freddo” non viene mai inquadrato interamente, si vede solo la sua sagoma e una parte della fronte poiché impersona Jake, l’amico suicida e il suo funerale diventa così un motivo di ritrovo della vecchia compagnia.


Gli anni Sessanta sono stati un periodo di ribellione collettiva. Ispirati da J.F. Kennedy e Martin Luther King, gli studenti universitari hanno abbracciato i movimenti per i diritti civili, contro la guerra, per la libertà sessuale e la liberazione delle donne. The Times They Are A-Changin’, cantava Bob Dylan – anche se, a dire il vero, non è tra gli autori presenti nella fantastica colonna sonora, tra le più belle di sempre, che analizzeremo nelle righe seguenti. Comunque, sì: i tempi stavano cambiando. A tal proposito, uno dei problemi che Lawrence Kasdan affrontò nella sua sceneggiatura, scritta a quattro mani con l’amica avvocato Barbara Benedek, fu chiarire se questi ideali giovanili non fossero solo stati una “moda”.
All’inizio, nonostante il successo del precedente film di Kasdan, “Il grande freddo” fu rifiutato dalla casa produttrice Ladd Company, ritenuto «un film non commerciale». Lo stesso avvenne con i dirigenti di Paramount, Universal, MGM, 20th Century Fox e Warner Bros. Eravamo pur sempre negli anni Ottanta, si guardava solo agli incassi… Ma qualcuno colse il valore del progetto: Marcia Nasatir, presidente della Carson Films, convinse i dirigenti della Columbia a produrre il film, scelto per aprire il prestigioso New York Film Festival nel 1983. Una gran fortuna, non solo perché “Il grande freddo” è oggi un vero e proprio cult, ma anche perché il cast fu semplicemente formidabile. Glenn Close ottenne una nomination all’Oscar come miglior attrice, Kasdan quelle per la miglior sceneggiatura e miglior film.


Il confronto tra passato e presente di un gruppo di vecchi amici era già stato affrontato da altri autori, da Sidney Lumet (The Group) e George Lucas (American Graffiti), tra gli altri. Però nessun film ha mai catturato così abilmente il tenore dei tempi, intrecciando la nostalgia malinconica con le preoccupazioni contemporanee.
Il titolo si riferisce al freddo mondo della realtà (adulta), così come al freddo della mortalità. Sette amici dei tempi del college: un medico (Sarah, Glenn Close), suo marito, un ricco produttore di scarpe da corsa (Harold Cooper, Kevin Kline), un veterano del Vietnam ferito e tossicodipendente (Nick, William Hurt), un avvocato aziendale (Meg, Mary Kay Place), una casalinga annoiata (Karen, JoeBeth Williams), un giornalista (Michael, Jeff Goldblum) e un popolare attore televisivo (Sam, Tom Berenger) si riuniscono un fine settimana all’inizio degli anni Ottanta per il funerale dell’ottavo membro del loro gruppo, suicidatosi (Jake, Kevin Costner). Durante il weekend, gli amici, insieme alla giovane fidanzata dell’uomo morto (Chloe, Meg Tilly), ricordano il passato e ripercorrono le loro vite presenti. Qualcuno cerca di recuperare il tempo perduto, altri non ci riescono, la vita andrà avanti.


Kasdan e Benedek hanno attinto ai ricordi dei loro amici del college. Per creare l’intimità tra i personaggi, il regista ha volutamente “rinchiuso” per alcuni mesi tutti gli attori in una casa a Beaufort, nel sud California, facendo loro ascoltare tutti i giorni le canzoni già scelte per la colonna sonora (un po’ come Sergio Leone in “C’era una volta in America” con i brani di Ennio Morricone).
Una storia impossibile da sintetizzare – andate a rivedervi o guardate per la prima volta – il film, con un cast credibilissimo, episodi divertenti e toccanti, dialoghi brillanti. E, si diceva, la musica. “The Big Chill” ha una colonna sonora fantastica che trabocca di successi della Motown e degli anni Sessanta. Una curiosità: il merito è di Meg Kasdan, moglie del regista (che nel film appare in un cameo come hostess). E’ stata lei a mettere insieme brani di Rolling Stones, Three Dog Night, Marvin Gaye, Aretha Franklin, Smokey Robinson ed altri artisti fantastici, che funzionano come una sorta di stenografia proustiana per creare l’atmosfera, commentare l’azione e suscitare ricordi privati nello spettatore. La fotografia di John Bailey e la scenografia di Ida Random aggiungono splendore a una pagina immortale di grande cinema americano di fine Novecento.

di Eleonora Bagarotti

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