“Ho chiamato mio figlio Diego come l’infermiere che mi ha curato”
01 Marzo 2021 16:05
Ci sono storie di speranza che nascono dalla sofferenza del Covid. Come quella del piccolo Diego, nato a settembre 2020. Il nome scelto dai genitori è in onore dell’infermiere che si è preso cura di suo papà, uno dei più giovani pazienti Covid del reparto di Terapia intensiva di Piacenza. L’incubo per Stefano Provini, fisioterapista 33enne residente a Farini, è iniziato in questo periodo dello scorso anno mentre Diego Zuffada, infermiere piacentino 35enne, dal comparto operatorio veniva trasferito al reparto di Terapia Intensiva dove si moltiplicavano i letti per i malati del virus sconosciuto fino a pochi giorni prima.
“Non riuscivo più a respirare, la saturazione era a 76 e quando lo ho comunicato al 118 mi sono venuti a prendere subito con l’ambulanza. Nel giro di poche ore mi sono ritrovato con il casco nel reparto di Terapia Intensiva – ricorda Stefano Provini -. Mi sembrava di impazzire, faceva un rumore terribile. E’ lì che conosciuto l’infermiere Diego con il quale si è creato subito un bel rapporto. E poi ricordo perfettamente anche i suoi colleghi e i medici che passavano come meteore perché avevano tanto da fare, ma c’era comunque molta umanità. Io devo la vita a queste persone”.
Erano tempi in cui del maledetto virus si sapeva ancora poco e l’ospedale iniziava a trasformarsi in un girone infernale. La preoccupazione per Stefano era ancora più elevata perché la moglie era incinta al terzo mese. La sua è una storia a lieto fine, Stefano si è ripreso dai postumi del Covid e il 18 settembre è nato il primogenito. “Non ho avuto dubbi sul nome perché l’infermiere Diego si è preso cura di me in un momento difficile. Abbiamo la stessa passione per la natura e per i viaggi e se non ci fosse stato lui sarebbe stato molto difficile tenere su il morale in quei giorni. Così, quando è nato mio figlio all’ospedale di Piacenza, lui era in reparto e io l’ho chiamato per farglielo conoscere subito. In quel momento gli ho comunicato che avevo scelto proprio il suo nome”.
“Per me è stata una sorpresa e una grande emozione – commenta Diego Zuffada -. Con Stefano siamo rimasti amici. Lui aveva il casco ed era sveglio quindi vedeva tutto ciò che succedeva intorno a sé in reparto. Per questo non aveva solo bisogno di cure farmacologiche ma anche di vicinanza. Dopo un po’ di tempo dalle dimissioni siamo stati noi a contattarlo per sapere come stava perché avevamo bisogno di storie positive per tirarci un po’ su di morale dopo aver assistito a tanta sofferenza”.
“Dopo essere guarito dal Covid – conclude Provini – ho deciso di cambiare le priorità perché ho davvero capito che nella vita di tutti i giorni ci stressiamo tanto inutilmente”.
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