L’olio di palma si fa sostenibile e insegue la redenzione
12 Ottobre 2021 06:00
In breve:
- Un quinto della produzione di olio di palma mondiale proviene da una filiera sostenibile
- Circa il 23% della deforestazione in Indonesia è stata causata dalla domanda della sostanza
- L’area verde destinata alla coltivazione della palma da olio è quadruplicata dal 1980 ad oggi
L’olio di palma si fa sostenibile per poter sopravvivere. Più che un desiderio del mercato una vera e propria necessità: la produzione di olio di palma nel mondo è cresciuta a dismisura nell’arco degli ultimi decenni. Una dinamica che ha imposto ai Paesi produttori, Indonesia su tutti, di sacrificare ingenti aree della propria superficie per poter soddisfare la domanda. Ecco quali sono le cifre in campo.
I risultati della ricerca del “Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici”
La fondazione Cmcc ha presentato i primi risultati dell’analisi sul ciclo di vita della filiera dell’olio di palma sostenibile: “Il grande vantaggio dell’olio di palma è la sua elevata resa, per cui a parità di input e superficie utilizzata, le emissioni per unità di prodotto sono minori rispetto agli oli alternativi. Inoltre, la deforestazione evitata grazie alla certificazione di sostenibilità comporta un notevole vantaggio in termini di riduzione delle emissioni per la produzione dell’olio di palma sostenibile”. Ma la domanda sorge spontanea: cosa significa olio di palma sostenibile e perché sta diventando sempre più centrale nelle cronache?
La sostenibilità prende piede nella filiera
Secondo recenti statistiche circa il 19% della produzione globale di olio di palma proverrebbe da piantagioni certificate “Rspo”, ovvero “tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile”, una iniziativa no profit che dal 2004 cerca di promuovere standard globali per contrastare l’impatto della filiera sull’ambiente. Circa il 93% dell’olio di palma utilizzato in Italia proverrebbe da piantagioni certificate, più che raddoppiando tra il triennio 2017-2019 e oggi.
Perché si parla di olio di palma sostenibile?
Per venire incontro alla domanda crescente di olio di palma, contenuto in circa un prodotto su due presente al supermercato, diversi Paesi coltivatori hanno convertito grandi porzioni di territorio in favore della palma necessaria alla produzione. In Indonesia – di gran lunga il principale produttore mondiale – tra il 2001 e il 2016 circa il 23% della deforestazione è stata causata proprio dalla coltivazione legata alla filiera dell’olio di palma. Tra il 2008 e il 2009 questa quota ha toccato persino il 40%, per poi rientrare negli ultimi anni. Secondo altre stime la produzione dell’olio di palma avrebbe portato 193 specie animali in una condizione di pericolo di estinzione, minaccia o vulnerabilità.
Ben 19 milioni di ettari di superficie nel mondo dedicata alle palme
L’estensione della superficie coltivata dedicata alla produzione dell’olio di palma è ovviamente cresciuta in maniera esponenziale con l’aumento della domanda mondiale. Secondo i dati della Fao dal 1980 in poi l’area destinata alla coltivazione delle palme è quadruplicata, passando da 4 a 19 milioni di ettari nel 2018. Oltre metà della superficie si trova in Indonesia e in Malesia (63%). Certo 19 milioni di ettari in assoluto sono un’area decisamente ampia ma in termini relativi costituisce soltanto il 6% della superficie complessiva destinata alla coltivazione da piante “per olio” (oltre 300 milioni di ettari).
Ma l’olio di palma non era cancerogeno?
Tutto cominciò nel 2016, quando l’Autorità europea per la sicurezza alimentare pubblicò i risultati di uno studio che certificava il rischio di sviluppare tumori collegato ad alcune sostanze (2 e 3-3- e 2-monocloropropanediolo, Mcpd e relativi acidi grassi). La presenza di queste sostanze, ad alte concentrazioni, può indurre il mutamento nel patrimonio genetico delle cellule, portando allo sviluppo di patologie oncologiche. Ora, sia dia il caso che queste sostanze possano essere sviluppate da oli vegetali durante il processo di lavorazione una volta superati i 200 gradi centigradi. Oli vegetali tra i quali si annovera anche l’olio di palma. A questo studio però l’Autorità europea non ha seguito il bando dell’olio di palma, per un semplice motivo: quelle sostanze diventano cancerogene a concentrazioni talmente elevate da non poter essere raggiunte in un regime alimentare definito come “normale”. Come scrive Airc: “Queste tre sostanze sono note per essere cancerogene in vitro ad altissime concentrazioni: ciò significa che in laboratorio, a concentrazioni difficilmente raggiungibili con la normale alimentazione, sono genotossiche, hanno cioè la capacità di mutare il patrimonio genetico della cellula”.
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