L’ultimo film dell’anno, “tick, tick… BOOM!”

No, non mi è piaciuto “Don’t look up”, è un filmetto banale non all’altezza di Adam McKay che le storture del capitalismo ce le ha raccontate molto meglio con “The Big Short” e che il delirio del potere lo ha ritratto splendidamente con “Vice”. Questa è una storia scritta (e girata e montata) con la mano sinistra, che fa tanto discutere perché generalmente si guarda poco e male e ci si dimentica il contesto, come se non ci fosse mai stato il Tim Burton di “Mars Attacks!”, e che vive di Leo sexy professore e di Meryl presidente cattiva.


Non mi è piaciuto nemmeno “Death to 2021”, dove il creatore di “Black Mirror” Charlie Brooker ricicla, in tono nettamente minore, l’idea dello scorso anno che paradossalmente, pur non essendo all’altezza dei migliori episodi della sua serie (niente, mai, sarà all’altezza di “The National Anthem” o di “Nosedive”), offriva molti più spunti di riflessione di “Dont’ Look Up”.


Ma c’è qualcosa che mi porterò dietro dall’invasione di proposte streaming di fine anno ed è ovviamente un musical (qui di solito parte un coro di “Non mi piace il musical non è il mio genere”, qui come sempre chiedo scusa mentalmente a Bob Fosse e rifilo la mia consueta risposta garbata ovvero “Questa cosa che hai appena detto è una grande sciocchezza”).

“tick, tick… BOOM!” (produzione Netflix) è un musical interpretato da Andrew Garfield nell’anno del suo grande rilancio cinematografico: dopo quella fallimentare prova in “Silence” di Martin Scorsese (un terribile mistcasting che peraltro lo ha affiancato a Adam Driver) e dopo qualche anno di cinema indipendente e di teatro, Garfield torna nel blockbuster della stagione e in questa produzione Netflix firmata Lin-Manuel Miranda, il re del musical di questi anni (autore e protagonista di “Hamilton”, con cui ha vinto il Pulitzer per la drammaturgia e autore delle musiche di “Encanto”, passato in sala e attualmente su Disney +).

 

“tick, tick… BOOM!” è l’adattamento del musical biografico di Jonathan Larson, che racconta la sua vita all’inizio degli anni ’90, che gira tutta intorno alla costruzione del suo lavoro “Superbia”, una musical rock distopia “che ho scritto e riscritto per otto anni e avrò trent’anni tra otto giorni”: mentre i suoi amici abbandonano le velleità creative per lavori strapagati (ehi, siamo negli anni ’90, hello mie adorate cabine armadio), mentre la sua fidanzata gli chiede se dovrà accettare o meno un lavoro lontano da New York, mentre le bollette da pagare si accumulano e i suoi amici muoiono di Aids (“Sono stato al funerale di tre amici quest’anno, il più vecchio aveva 27 anni”), mentre gli manca la canzone chiave dello show, se qualcuno chiede a Jonathan che cosa fa, lui risponde “Io sono il futuro del musical”.

“tick, tick… BOOM!” è un “modern romance in form of a song” dove quando Jonathan perde pezzi c’è una cosa sola che può fare e come lo capisco perché questa cosa è nuotare e cercare l’origine del movimento e tenere giù le spalle e vedere se riesce a arrivare a quaranta vasche e scrivere il prossimo musical e magari scrivere di qualcosa che conosce e non avere qualche idea, ma solo domande.

“tick, tick… BOOM!” è il tempo che scorre, la giovinezza, il talento, le scelte, le rinunce, le persone che abbiamo perso e quelle che ci portiamo dietro da sempre. “tick, tick… BOOM!” è speranza e verso metà film ho pensato ma figurati se piango per una canzone e non ho smesso più, ed è stato un modo bellissimo di chiudere un anno di cinema.

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