And let the darkness set us free: “Yellowjackets” ci riporta Juliette Lewis e Christina Ricci

Parte fortissima “Yellowjackets”, con una puntata che lancia la grande domanda di tutta la stagione (alla quale non risponderà, perché è già stata confermata per una seconda e nella mente degli scrittori Ashley Lyle and Bart Nickerson è una serie anche più ampia). Una ragazza scappa nelle neve inseguita da un gruppo di persone mascherate: il bianco, il sangue, i boschi, un sacrificio rituale, un pasto? Per tutta la stagione tutti continueranno a chiedere alle Yellowjackets rimaste se hanno mangiato le loro amiche e insieme a questa domanda altre se ne accumuleranno perché la storia è scritta appositamente per far impazzire gli spettatori che nei forum stanno sezionando le puntate frame dopo frame.

 


Organizzata tra passato (1996) e presente (2021), la serie si muove tra l’incidente aereo che isola una squadra di calcio femminile nelle montagne del Canada, nel mezzo del nulla, e la loro vita 25 anni dopo, tra la brutalità della sopravvivenza (dove i riferimenti immediati sono “Lost”, “The Blair Witch Project”, “Twin Peaks”, “Midsommar” ma anche “Il Signore delle mosche” perché le ragazze sono tutte adolescenti) e la quotidianità della vita suburbana di “Desperate Housewives”.

 


Il ripescaggio degli anni ’90 è sempre di moda e dopo Winona Ryder in “Stranger Things” nel ruolo delle ragazze da adulte tornano due icone del nostro disagio come Juliette Lewis e Christina Ricci, accompagnate da Tawny Cypress e Melanie Lynskey. Ognuna ha suo modo ha superato i 19 mesi passati nei boschi a patire il freddo e la fame e a vedere le proprie compagne morire: Nathalie (Juliette Lewis) esce dalla riabilitazione, Misty (Christina Ricci) fa l’infermiera in una casa di riposo, Taissa (Tawny Cipress) è sposata con Simone, ha un bambino ed è candidata a senatore dello Stato del New Jersey, Shauna (Melanie Lynskey) è sposata con Jeff, ha una figlia grande e ammazza a mani nude conigli che poi cucina per cena. Quello che la gente non capisce è che quando hai avuto abbastanza straordinario nella tua vita l’ordinario, il normale, ti sembra quasi un sogno irraggiungibile e se alla fine lo trovi non solo ti basta, ma non ne hai mai abbastanza.

 

Il cast delle adulte è grandioso, quello quelle ragazze ancora meglio: le attrici sono tutte pazzesche, la colonna sonora viaggia tra le Hole, P.J.Harvey, i Prodigy, i Portished, e la scrittura vola tenendo alta la tensione e rendendo impossibile prevedere gli avvenimenti successivi.
Nel passato le ragazze sono ragazze, pensano al fidanzato, ai vestiti per il ballo, a vincere il campionato: abbiamo visto abbastanza film e serie sugli adolescenti nelle high school americane da sapere che per alcuni di loro è il miglior periodo della loro vita. Shauna e Jackie sono amiche, e la loro è la classica amicizia dove una è bella e popolare e l’altra è meno bella ma più intelligente. Nat è la bad girl che beve e si droga, vive in una roulotte e ha una orribile storia familiare, Misty è quella strana, Taissa è quella determinata.
E in un certo senso la loro vita adolescente continua anche dopo l’incidente: litigano per un ragazzo, perché una ha letto il diario di quell’altra, perché una non aiuta il gruppo e resta a dormire fino a tardi la mattina. Le abitudini del quotidiano, la vita per come la conoscono ordinariamente, si infilano nello straordinario. E per straordinario non intendo solo ambiente ostile e disabitato ma amputazioni, scheletri, visioni, battesimi, tentativi di aborto, sedute spiritiche, lupi, orsi, culti religiosi, simboli, uomini senza occhi, funghi allucinogeni, sonnambulismo, sacerdotesse.

 


E’ cruda “Yellowjackets”, brutale, piena di body horror, e di morte, anche nel presente, dove queste donne sopravvissute affrontano ricatti, indagano, imbrogliano, minacciano, tradiscono e uccidono con un piglio che non è sangue freddo, è proprio nonchalance. E la bellezza della scrittura di “Yellowjackets” vive fortemente di questi momenti, di questo humour nero, di questo irrompere del quotidiano nelle situazioni più pericolose.
Misty/Christina è una citizen/detective zelante e organizzata piena di piccole ossessioni, tra “Misery non deve morire” e “Che fine ha fatto Baby Jane?”. Misty, nel passato e nel presente, è un agente del caos che si trova a suo agio in un incidente catastrofico, nel sequestro, nel ricatto, nel nascondere un cadavere.
Taissa/ Tawny è divorata dalla razionalità e dietro la sua perfezione ha una serie di disturbi e problemi non affrontati, mentre Shauna/Melanie è una “heavenly creature”, quella con la vita più normale e quella che meglio di tutte si muove quasi annoiata tra crimini, segreti, tradimenti e la cena per la famiglia.
Nat/Juliette esce dal rehab e tutto quello che ha è una Porsche con dentro un fucile: del resto, lo diceva Godard, “all you need for a movie is a girl and a gun”. Juliette Lewis con questo suo “My rifle, my pony, and me” si porta dietro tutti i personaggi maledetti dei suoi film degli anni ‘90, da Mallory Knox a Faith Justin, una creatura della notte che sembra patire alla luce del sole, che cerca un colpevole anche se forse non esiste. La sua voce, le sue smorfie, quella bellezza invecchiata nel modo perfetto, Juliette è la ragazza hardcore dei nostri sogni, Thank you girl, thank you girl I’ll love you till the end of the world.

 

© Copyright 2024 Editoriale Libertà