Mia madre, mio figlio, la Vitti


Da dove vengono le passioni, dite: in casa mia al cinema ci andavano tutti, mia nonna mi portava a vedere i film con Bud Spencer e Terence Hill e dopo anche quelli con Bud Spencer da solo. A proposito di Sanremo, attrici e attori, mia madre mi portava a vedere la Muti e Pozzetto (“Un povero ricco”), la Muti e Celentano (“Il bisbetico domato” e “Innamorato pazzo”), mentre all’epoca della Muti con Nuti ci andavo già per i fatti miei. Non sono però certa di aver visto in sala qualche film con Monica Vitti anche se, sempre grazie a mia madre, la più grande schermo dipendente d’Italia fin dai primi anni ’70 (non capiterà mai più, quindi grazie mamma, non ti ho dedicato la tesi di laurea ma se penso alla Vitti penso a te), ho ben chiari in testa un sacco di titoli passati in televisione. Confondo ieri e oggi e non mi ricordo quando e dove, ma la Vitti mi ha preso per mano fin da quando ero piccola parlandomi con la voce sgraziata e inconfondibile dei suoi personaggi perfetti come Assunta Patanè, “La ragazza con la pistola” del 1968, dove quel genio di Monicelli la scrittura per farle interpretare una siciliana innamorata di Vincenzo Macaluso (Carlo Giuffré) che, dopo averla sedotta, scappa in Gran Bretagna per sfuggire al matrimonio riparatore. Assunta, senza sapere nulla né della lingua né della cultura, si procura una pistola e lo segue per ucciderlo e vendicare il proprio onore muovendosi per Londra come una creatura quasi ferina che va a caccia.

 

Il film è su YouTube e giuro si vede pure bene, ma anche su Prime, sentite che musiche, che dialoghi, che facce bellissime che fa lei, sono giorni che guardo pezzi dei suoi film, che mi ricordo tutto, che continuo a ridere.
E poi ovviamente Scola del 1970, quel capolavoro purissimo che è “Dramma della gelosia” (su Raiplay): il triangolo amoroso tra il muratore Oreste Nardi/Mastroianni, la fioraia Adelaide Ciaffrocchi e il pizzaiolo Nello Serafini/Giannini è un pezzo della nostra storia cinematografica: un dramma popolare appassionato, con dialoghi brillantissimi, che parla d’amore e, come sempre nelle pellicole italiane di quegli anni, di politica e di classi sociali. Nella cornice di una vicenda processuale i tre raccontano la loro storia a noi direttamente in camera rompendo la quarta parete e ripercorrendo gli avvenimenti tramite flashback: non c’è una scena che non sia iconica, la Ciafrocchi che finisce continuamente all’ospedale, le sue sedute con lo psicanalista, il luna park felliniano sulle macerie, il tentato matrimonio con il macellaio Amleto di Meo, la scenata al ristorante che inizia con “What a lovely day” e finisce con “il sangue fa il corso suo e non lo puoi fermaaaaa’” E voi, avete mai amato? Avete mai sofferto per amore? Preparatevi, perché è quello che vi chiederà Adelaide Ciaffrocchi.
Vedi questi film e pensi che dialoghi che scritture che nutrono gli attori, che attori che nutrono le scritture, le merendine di quando eravamo bambini non torneranno più e nemmeno questi sceneggiatori e questi attori (attrici il gender bla bla ci siamo capiti).

 

Ce ne sono tanti altri che abbiamo sempre in mente da “Polvere di stelle” con Sordi a “L’anatra all’arancia”, dove lei cerca ancora di lasciare qualcuno (in questo caso il marito Tognazzi) che la ingelosisce con una Barbara Bouchet che gira seminuda per tutto il film, a “Amore mio aiutami” ancora con Sordi. Sono film in cui tutti si mettono le mani addosso, la Vitti le prende praticamente sempre e qualche volta (ma poche percentualmente) le restituisce: nel finale di “Amore mio aiutami” (anche questo è completo su YouTube) Sordi la corca di mazzate (“E dillo ancora che lo ami!” “Sì che lo amo!” “Oddio ho tutto il sangue in bocca!”), e probabilmente è con questo film che si sono confusi gli infelici organi di informazione nazionali che per esprimere il loro cordoglio e ricordare una delle attrici più famose del mondo, omaggiata in Europa e oltre oceano, per la fretta hanno postato uno spezzone di un film della Melato con Giannini dove la suddetta Melato le prendeva con allegria. E’ triste, è surreale, è il tempo in cui viviamo.

 

E poi le foto, sono tutte favolose, è lo stesso sconcerto di quando è morta Jeanne Moreau, ne cerchi una e ne trovi altre dieci che sono anche meglio e non resta che arrendersi a questa favolosità del novecento.
Ma anche noi come tutte le famiglie infelici (e come i Buddenbrok) siamo infelici a modo nostro: il mio primogenito è un cinefilo perfetto, che disprezza gran parte del cinema contemporaneo e si spara maratone di cinematografie minori degli anni ‘70 dove mediamente il regista non è riuscito a finire il suo capolavoro visionario e si è impiccato con la pellicola. Il cinefilo perfetto ha rigorosamente visto tutto Antonioni, che è uno dei suoi registi culto ed è da anni perdutamente innamorato della Vitti.

 

Di quella Vitti lì, che è l’unica che lui conosce. Comunque adesso vi saluto, vado a cercare un dvd de “A mezzanotte va la ronda del piacere” (sì, la menano pure qui) per un rapida cura Ludovico.

 

© Copyright 2024 Editoriale Libertà