Leave the gun, take the cannoli, watch “The Offer”

Continuando a sbirciare nei backstage delle produzioni ho trovato una vera bellezza: sul nuovo canale Paramount + (gratis per chi ha già Sky Cinema) c’è “The Offer”, miniserie in dieci puntate tutte dedicate al making of de “Il padrino” ed è come leggere un libro (molti libri) di storia di cinema. Del resto, il suo creatore è Michael Tolkin, scrittore, regista e sceneggiatore, autore di quella cosetta che è “I protagonisti” diretto da Robert Altman.

La serie è ambientata dentro una Paramount della fine degli anni’60, insidiata dalla televisione, acquistata da un finanziatore esterno, con pochi titoli di successo all’attivo (“Non possiamo continuare a campare su “Rosemary’s Baby”), che viene riportata alla gloria da Bob Evans, a capo della Paramount dal 1967 al 1976, infilando una serie di altre cosette come appunto “Il padrino”, “La strana coppia”, “Love Story”, “I tre giorni del condor” e “Chinatown”.

Il primo motivo per guardare “The Offer” è dunque uno strepitoso Matthew Goode, elegantissimo come solo un attore britannico capace di confidenza totale in qualsiasi parte, dal lord al matematico al fotografo bisex al produttore hollywoodiano. E dunque la prima cosa bella da vedere è Matthew Goode che si muove sullo sfondo di immensi set cinematografici.


Subito dopo arrivano i dialoghi velocissimi che svelano altri backstage, come Neil Simon che accetta ma vuole Lemmon, Lemmon ci sta solo se c’è Matthau e vuole 300.000 dollari e Bludhorn (il finanziatore esterno) non vuole darglieli, e io a questo punto a tutti quelli che entravano in casa urlavo Guardala con me, è bellissimaaaaaaaaa.

Con l’arrivo di Albert Ruddy (Miles Teller), programmatore annoiato che ha già lavorato per una sitcom televisiva, comincia a comporsi una squadra, mentre l’ignaro Mario Puzo, che non vuole assolutamente scrivere un libro sulla mafia, perché ha passato l’infanzia a nascondersi dai gangster, si sente offrire dalla sua agente il consiglio più vecchio del mondo: “Scrivi di quello che conosci”. La moglie di Puzo raccoglie il consiglio e lui comincia a scrivere di una famiglia di mafiosi che amano, piangono, soffrono, si sposano, come le famiglie normali. Il libro è un bestseller (di quelli di allora).

Mentre volano sullo schermo Ali MacGraw, Ann Margret, pezzi de Il pianeta delle scimmie, locandine di Willy Wonka senza la fabbrica di cioccolato, mentre sentiamo gli Stones, The Kinks, Bob Dylan, i mafiosi veri, gli italiani, si attivano e cominciano una campagna pubblica e privata contro la realizzazione del film, spalleggiati da Frank Sinatra che si vede ritratto in Johnny Fontane. Il boss Colombo dice che è ora di chiamare Mickey Cohen ed è come se James Ellroy fosse entrato nella stanza dove continuo a cercare di convincere tutti a guardare questa meraviglia.

Il progetto è in pericolo costante, nel frattempo arriva Coppola e i dialoghi tra lui e Puzo ti fanno già immaginare le cattedrali che saranno in grado di costruire, le donne hanno un intuito molto più sviluppato degli uomini ma gli studios sono diretti da un branco di uomini vecchi vestiti molto bene, cominciano i casting e se ancora non vi ho convinto c’è Justin Chambers di Grey’s Anatomy fa Brando che fa Don Vito Corleone che fa Re Lear, ma con i figli maschi al posto delle figlie femmine.

 

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