Vittoria Dal Santo e i Fiocchi di luce: la mappa dell’esistenza
21 Ottobre 2022 12:48
Attenzione, ascolto, empatia: ci sono momenti nella vita nei quali si fa necessario sviluppare queste sensibilità, come strumento di espressione verso l’esterno, ma soprattutto di comunicazione con l’interno. La dimensione del racconto stimola e accresce la necessità di non fermarsi a una lettura superficiale, incita piuttosto a far diventare i sensi più ricettivi, più capaci di percepire: si tratta di istantanee, di miniature di una realtà di cui l’autrice suggerisce una forma, ma che vengono subito rielaborati dal filtro del vissuto del lettore. I Fiocchi di luce di Vittoria Dal Santo raccontano istanti mai uguali tra loro, nei quali l’esperienza viene trasfigurata attraverso il ricordo, sublimata grazie alle sensazioni vissute in quel determinato istante.
L’occhio dell’autrice guarda quasi con ossequio al passato, senza la pretesa di dover trovare la formula per decodificare il senso della vita o per indovinare il futuro. Al contrario, riconoscendo la propria dimensione all’interno del misterioso ingranaggio dell’esistenza, gli eventi positivi e quelli negativi non vengono rinchiusi in compartimenti stagni, per essere rispettivamente esaltati o demonizzati, vanno invece a comporre un unico percorso organico da accogliere per intero, colmo di una meraviglia che si manifesta sotto ogni angolazione. Scrive infatti l’autrice nella sua nota iniziale, come ad accogliere il lettore che da quel momento in poi indugerà tra le stanze della sua memoria:
“La vita umana è un percorso misterioso, i gradini a volte sanno di profumo di rose e gigli, altri sono infidi e pericolosi, da lasciare una ferita profonda nel cuore. Ma quando l’abisso sta per afferrarti, l’anima si trasforma in una bianca colomba, sfugge alle ombre nere della morte, si libra alta nel cielo, s’immerge nella coppa della speranza, poi, ancora bagnata, si cala tra i mortali e lenisce le loro ferite. Così volo nel mondo infantile della magia, sfioro quello misterioso dell’aldilà, poi mi tuffo nell’avventura per strapparmi dal cuore i rovi pungenti, che l’hanno fatto sanguinare”.
La luce, attraverso le sue parole, brilla anche nel racconto dei momenti più bui, lì dove gli eventi le hanno arrecato sofferenze e dispiaceri: sono piccoli, infinitesimi bagliori, tutti diversi, ma al tempo stesso costanti, avvolti da una sottile patina di magia.
“Scrivo i miei racconti per dar voce a un’emozione che sento dentro il cuore e che ha bisogno di scoppiare, deve essere scritta” svela l’autrice alle telecamere di Se Scrivendo, il salotto letterario targato CaosFilm in onda su Sky “Oggi mi accorgo di quanto sia importante tenere conto delle nostre radici, ovvero della nostra infanzia. Se abbiamo avuto la fortuna di avere un’infanzia ricca di gioia, di tenerezza, di dolcezza, è quella a darci la forza di tirare avanti anche nei momenti più duri della vita”.
È infatti con l’infanzia dell’autrice che si apre la raccolta, nata tra la bufera di neve di febbraio e i bombardamenti del 1944. Quella “Cara Locara”, toccante dedica che dà il titolo al primo racconto, è il luogo dei suoi primi anni felici, tra l’asilo con le suore, la dolcezza delle persone e la meraviglia di una natura ancora non abusata dall’uomo. Il ricordo affettuoso lascia scorgere una naturale propensione alla bellezza, frutto di un’educazione preziosa ai valori autentici della vita e alla cura dei propri cari.
Ciascuno dei racconti, alcuni nati da esperienze personalmente vissute, altri tratti dai racconti delle persone a lei vicine, conserva tutta una visione del mondo carezzevole, quasi infantile nel senso più puro del termine: senza dubbio ai lettori scapperà certe volte un sorriso, altre forse un rimbrotto a mezza voce, ma sta proprio in questo la magia, la leggerezza che trasforma la quotidianità in un’esperienza speciale.
Centro di questa quotidianità è per l’appunto l’amore. In particolare esso si incarna, in maniera totalizzante e avvolgente, nel marito e compagno di vita dell’autrice. Impossibile cercare di rimanere insensibili di fronte a parole tanto colme di cura e dedizione, quando ad esempio narra il colpo di fulmine del primo incontro, le fragilità che da subito l’uno sapeva colmare nell’altra e viceversa, i giorni che li hanno visti coronare il loro sogno d’amore, per poi crescere e maturare insieme, costruire una famiglia, tagliare ogni traguardo, grande o piccolo che fosse, sempre mano nella mano. Anche nel presente, nella stagione della vita in cui il corpo si indebolisce, questo sostegno rimane incessante, non si tira indietro. Nell’emozione di un amore che è stato e continua a essere, pur se trasformato dagli stadi dell’umana esistenza, il lettore prova quasi un senso di nostalgia di ciò che non ha vissuto direttamente. Forse osa domandarsi se sia possibile o addirittura sostenibile, oggi, condividere un sentimento tanto sincero e duraturo.
Non manca nei racconti di Dal Santo uno sguardo all’attualità: il periodo del lockdown pandemico, narrato attraverso le sue date più significative, offre ancora una volta all’autrice l’occasione di fare i conti con le proprie emozioni, nel tentativo di esorcizzare la paura di un tempo più che mai incerto. La preoccupazione si estende agli affetti più cari, nel timore di non riuscire ad essere abbastanza presente, d’aiuto. Colpisce, persino quando le notizie si fanno più disastrose e l’angoscia rischia di prendere il sopravvento, uno sguardo sempre ottimista, di ripartenza, volto a sottolineare l’umana resilienza anche di fronte agli eventi più catastrofici, non soltanto al virus. A guidarla è la sua fede incrollabile, che scandisce con la preghiera il tempo della reclusione.
La prima sezione dell’opera, certamente più intimista, lascia poi spazio alla seconda, nella quale l’autrice mette da parte il racconto del proprio vissuto personale per focalizzarsi invece sulle storie d’altri, di personaggi affascinanti e dall’apparenza schiva, riservata. Ciascuno di essi svela invece tutta la luce che nasconde, capace di brillare sia nelle circostanze positive che in quelle negative che compongono il complesso mosaico della vita. Uno spazio è qui dedicato anche al più genuino mondo dell’infanzia, attraverso “La fiaba delle quattro ochette”, dedicata ai curiosi nipotini. La cornice del racconto è avvolta da un velo di magia: sembra che l’autrice si stupisca per la prima volta a sentirsi chiamare “nonna”, e recupera nei cassetti della memoria una storia che le era stata raccontata tanti anni fa, da quella “vecchietta vestita di nero, con i capelli bianchi raccolti sulla nuca, il viso stanco e rugoso” e la voce tenera: la sua, di nonna. In questo racconto forse più che in tutti gli altri è evidente il senso più profondo del tramandare, del passare il testimone delle proprie esperienze perché possa portare giovamento in chi verrà. In questo concetto si racchiude il senso più profondo della narrativa di Vittoria Dal Santo: è generosa nel raccontare, nel donare pezzetti di sé, il suo regalo esperienziale è un gioiello che acquisisce valore e significato nel tempo, quando viene trasmesso da una generazione all’altra, di mano in mano. Che si tratti di racconti autobiografici o immaginari, di vicende reali o favolistiche, riconosciamo uno stile evocativo, avvolgente, capace di suggerire con pochissimi tratti emozioni complesse e viscerali. È lo specchio di un’umanità che rimane autentica, sempre tesa al bello e al bene più puro.
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