La crisi Ubisoft raccontata: fallimenti, crollo in borsa e problemi interni

Di Andrea Peroni 20 Gennaio 2023 04:15

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Si può passare nell’arco di una decina d’anni, forse anche meno, da publisher di riferimento per il mercato videoludico ad azienda in forte crisi d’identità? La risposta è sì, e le recenti vicende nelle quali è rimasta coinvolta Ubisoft ne sono la dimostrazione. Il gigante francese ha parlato con i propri investitori e dipendenti del delicatissimo momento in cui si trova, lasciando trasparire una crisi ben più profonda rispetto a quello che si potrebbe pensare. Uno smarrimento generale, figlio di decisioni poco chiare e di progetti senza capo né coda che ora potrebbero costare caro a quello che fino a pochi anni fa era un produttore tra i più brillanti del panorama.

Tra la seconda metà degli anni ‘90 e il 2000, Ubisoft crebbe da publisher tutto sommato contenuto ad azienda con visioni ambiziose e futuristiche, con investimenti ingenti e la saggia decisione di puntare su cavalli di razza quali le opere letterarie di Tom Clancy, divenute poi serie come Rainbow Six, Splinter Cell e Ghost Recon. Col tempo l’azienda si fece poi pioniere dei grandi blockbuster action adventure, tendenza già avviata con la storica trilogia di Prince of Persia e proseguita poi con franchise di enorme caratura quali Far Cry, Watch Dogs, Tom Clancy e, naturalmente, Assassin’s Creed. Il picco è stato probabilmente raggiunto intorno al 2015, quando Ubisoft era sulla bocca di tutti e i suoi brand erano sinonimo di successo commerciale, ma da quel momento in poi qualcosa nell’apparentemente perfetta macchina si è rotto, e ora gli effetti appaiono davvero devastanti.

Nella sua ultima chiamata agli investitori, il Ceo Yves Guillemot e gli altri dirigenti di Ubisoft hanno delineato un quadro estremamente preoccupante per l’azienda, che ora si ritroverà a dover tagliare budget e costi di sviluppo, oltre che interi progetti. La società ha infatti preso la decisione di cancellare tre progetti ancora non annunciati (si vocifera che uno di questi possa essere il racing game The Crew 3, ma per ora sono solo indiscrezioni) che si aggiungono ai quattro già troncati la scorsa estate, oltre a rinviare ancora una volta l’ormai indecifrabile Skull and Bones, videogioco a tema piratesco annunciato nel 2017 e giunto addirittura al suo sesto rinvio dopo uno sviluppo durato un intero decennio. Dieci anni nei quali il titolo ha cambiato volto più volte, nato come espansione dell’allora apprezzato Black Flag (2013) e trasformato poi in un’ip totalmente nuova che ha fatto tanta, troppa fatica a trovare una sua identità. Secondo quanto riferito, la data di uscita non sarà spostata molto in là nel tempo, ma la percezione generale del pubblico, in larga parte disinteressato al titolo, è quello di un progetto fin troppo ricco di problematiche per dargli una chance di successo.

 

Oltre a ciò, Ubisoft deve farsi i conti in tasca, e l’ultimo saldo è ampiamente in rosso. L’utile operativo per il prossimo anno fiscale è stato rettificato da +400 milioni a -500 milioni di dollari, con una forbice di quasi un miliardo che evidenzia problematiche serie e ben oltre la qualità dei videogiochi. Colpa dell’economia, dell’inflazione, di mille altre motivazioni, ma anche e soprattutto di una gestione che nell’ultimo lustro, forse anche più, sta provocando più guai che altro al colosso un tempo inarrestabile.

Videogiochi come Skull and Bones e Beyond Good and Evil 2, di cui è stato confermata la prosecuzione dei lavori, si sono trasformati in macchine succhia-soldi con budget astronomici (il secondo, in particolare, è stato annunciato ormai 15 anni fa, sebbene la produzione sia partita molto dopo), e nessuno sa se queste maxi-produzioni saranno in grado di ripagare i gargantueschi sforzi di Ubisoft. L’impressione generale è che Skull and Bones in particolare abbia perso gran parte del suo appeal iniziale, e la sensazione di un pesante flop è percepibile dalle impressioni di stampa e pubblico che non sono mai stati particolarmente sbalorditi da quanto mostrato. La cancellazione, tuttavia, è fuori discussione: il gioco è stato sviluppato grazie a sovvenzioni e programmi governativi dello Stato di Singapore, e Ubisoft non può permettersi di chiudere in anticipo il progetto. Lo stesso dicasi per i titoli su licenza di Avatar e Star Wars, entrambi curati da Massive Entertainment, la cui uscita però, in particolare per il secondo, è ancora lontana.

La situazione attuale di Ubisoft è purtroppo lo specchio di un’industria videoludica, quella attuale, che si ritrova impantanata tra produzioni colossali, economia traballante e rischi continui. Nel vano tentativo di trovare nuovi franchise, specie nel campo dei free to play e giochi live service, l’azienda ha avviato negli anni innumerevoli progetti, la maggior parte dei quali ha evidenziato una cronica indecisione sul divenire e sulla direzione da intraprendere. Nel mucchio, qualcosa di utile nascerà, pensava Ubisoft. E invece, fino a oggi, gli esperimenti sono stati del tutto, o quasi, fallimentari. Il battle royale Hyper Scape ha chiuso i battenti dopo un ciclo vitale da subito agonizzante; Roller Champions è durato quanto un gatto in tangenziale; Ghost Recon: Frontline è stato invece brutalmente messo nel cestino senza neppure che il pubblico potesse provarlo. In aggiunta, una notizia di questa settimana: il publisher aveva in sviluppo almeno una dozzina di battle royale, che forse usciranno, forse no. Ma visti i risultati precedenti, un po’ di sfiducia c’è.

 

La lista non finisce qui, così come i problemi di Ubisoft. Quella che fino a pochi anni fa era una macchina sforna-giochi, con almeno due titoli di grande spessore ogni dodici mesi, si trova oggi di fronte a un paradosso: il publisher conta all’attivo 34 studi di sviluppo e più di 20.000 dipendenti in tutto il mondo, numeri da capogiro per un’azienda in costante perdita, eppure non riesce a mettere in commercio alcun titolo che possa risanare le casse societarie. Le ultime grandi produzioni multipiattaforma sono state Far Cry 6 e Riders Republic, entrambe datate 2021 e poco performanti alle vendite. Stesso discorso vale anche per i recenti Just Dance 2023 e Mario + Rabbids: Sparks of Hope, quest’ultimo splendida creatura di Ubisoft Milano ma scarsamente valorizzata.

Il 2022 di Ubisoft è quindi finito nel peggiore dei modi, e quest’anno non è certo iniziato con buoni auspici. Da qui in poi, paradossalmente, si può solo migliorare. Il publisher ripone grandissima fiducia in Assassin’s Creed: Mirage, annunciato come un glorioso ritorno al passato per il suo più importante franchise, e sullo sfondo resta il già citato Avatar: Frontiers of Pandora su cui anche il regista James Cameron ha fiducia essendo coinvolto con la sua Lightstorm Entertainment. La crisi è però più profonda di quanto si potesse immaginare, e forse neppure un 2023 oltre ogni rosea aspettativa potrebbe bastare. Lo spettro di una possibile acquisizione da parte di un altro colosso dell’intrattenimento, a questo punto, diventa sempre più reale, ma probabilmente questo è anche quello che Guillemot e i suoi sottoposti sperano nel profondo. I tentativi di proporsi a qualche grande nome, secondo le voci di corridoio, ci sono già stati, ma sono stati rispediti al mittente. Se il valore del publisher dovesse tuttavia crollare nuovamente, la possibilità che si scateni un’asta è molto alta.

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