CRV – Giorno della Memoria 2023: ‘Rita Levi Montalcini: pioniera ed ambasciatrice della scienza’
26 Gennaio 2023 17:30
Nell’ambito delle celebrazioni del Giorno della Memoria 2023, a palazzo Ferro Fini, il Consiglio regionale del Veneto ha ospitato la presentazione del libro ‘Rita levi Montalcini: pioniera ed ambasciatrice della scienza’, della professoressa Francesca Valente, in collegamento telematico con il Canada, Paese in cui l’autrice risiede.
Il Presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, ha introdotto la presentazione, ringraziando “la professoressa Francesca Valente che da Toronto ha accettato la nostra proposta di presentare il libro che ha scritto su Rita levi Montalcini, ‘pioniera e ambasciatrice della scienza’”.
“Rammento a tutti – ha esordito il Presidente del Consiglio – che la professoressa Valente, intellettuale di fama internazionale, ha diretto per tre anni il Settore Cultura e Patrimonio presso la Commissione Nazionale Italiana UNESCO, a Roma, ed è stata portavoce culturale tra il ministero degli Esteri e la città di Venezia. A Los Angeles, ha coordinato gli otto Istituti di Cultura Italiani del Canada e degli Stati Uniti. Per la sua attività culturale nel Nord America è stata insignita della laurea ad honorem in Lettere e Arti dalla York University, Toronto- Canada, e ha collaborato più volte con il Consiglio regionale del Veneto permettendoci, tra l’altro, di organizzare la prima grande mostra europea dedicata alla grande artista californiana Nancy Genn che ospitammo qui nella sede della nostra Assemblea legislativa”.
Perché celebrare la Giornata della Memoria, dopo l’importantissimo evento organizzato ieri dalla Sesta commissione consiliare e dalla presidente Scatto, parlando di una ‘pioniera e ambasciatrice della scienza’, come Rita Levi Montalcini? – ha continuato Ciambetti – La risposta sta nei quindici anni che passano dall’iscrizione alla facoltà di Medicina di una giovane torinese di famiglia ebraica sefardita, sino al 1945. Nel 1930, Rita Levi Montalcini entrò nella scuola medica dell’istologo, anche lui di origini ebraiche, Giuseppe Levi, il padre di Natalia Ginzburg, dove cominciò gli studi sul sistema nervoso che avrebbe proseguito per tutta la vita. Ebbe come compagni universitari due futuri premi Nobel, Salvador Luria e Renato Dulbecco. Tutti e tre furono studenti di Giuseppe Levi che fu cacciato dall’Università a seguito delle leggi razziali: pensate alla follia di un regime che, senza fondamento alcuno, ha cacciato dall’insegnamento, facendo di tutto poi per mandarlo in campo di concentramento, un uomo capace di formare tre premi Nobel; la stessa Rita Levi Montalcini è riuscita fortunosamente a salvarsi: non solo noi come italiani, ma l’intera umanità ha corso il rischio di perdere dei geni i cui studi sono serviti a migliorare la qualità della vita di tutti”.
“Quanti geni ha portato via con sé la Shoà? – ha osservato il Presidente dell’Assemblea Legislativa veneta – Non lo sapremo mai, di certo sappiamo che la Shoà ha impoverito tutti in maniera devastante, gettando su chi si rese responsabile di quella follia una macchia indelebile, creando una ferita insanabile che sanguina ancora oggi. Io credo che la cultura, la scienza, siano le medicine e la cura necessarie per impedire che la Shoà possa ripetersi. ‘L’uomo è in grado di distruggere il mondo. Può manipolare sé stesso. Può, per così dire, creare esseri umani ed escludere altri esseri umani dall’essere uomini. Come riconosciamo che cosa è giusto? Come possiamo distinguere tra il bene e il male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente?’, si chiedeva un accorato papa Ratzinger il 22 settembre del 2011 nel suo discorso al parlamento di Berlino dal titolo ‘Affermare il diritto e combattere l’ingiustizia’. Una risposta la possiamo dare noi: non dimenticando e coltivando le armi della cultura, dell’intelligenza, della scienza e dell’arte. Questi sono strumenti utili a leggere la realtà contemporanea: pensiamo, ad esempio, a come in Iran l’intolleranza dell’oscurantismo stia distruggendo una generazione di giovani, assassinando in maniera sistematica donne e giovani colpevoli di voler essere ‘donne e giovani’”.
“Rita Levi Montalcini – ha concluso Roberto Ciambetti – disse di sé stessa: ‘La mancanza di complessi, una notevole tenacia nel perseguire la strada che ritenevo giusta e la noncuranza per le difficoltà che avrei incontrato nella realizzazione dei miei progetti, lati del carattere che ritengo di aver ereditato da mio padre, mi hanno enormemente aiutato a far fronte agli anni difficili della vita. A mio padre come a mia madre debbo la disposizione a considerare con simpatia il prossimo, la mancanza di animosità e una naturale tendenza a interpretare fatti e persone dal lato più favorevole’. Questa ragazza, testarda quanto intelligente, oggi, in Iran, correrebbe dei rischi serissimi. E lo dico non per voler stabilire un parallelo improponibile tra la Shoà e la repressione iraniana, quanto per dimostrare che la follia che ispirò e permise la Shoà può ripresentarsi in maniera crudele e sta a noi cercare di attivare tutte le armi della ragione, della cultura e dell’intelligenza per impedire che scenda di nuovo il buio della ragione, non solo nella nostra Europa”.
La professoressa Francesca Valente, nel suo intervento, ha evidenziato le straordinarie qualità di Rita Levi- Montalcini, come persona e come scienziata, “donna coraggiosa, esempio di resilienza e tenacia, fortemente impegnata nel sociale per combattere l’analfabetismo, per promuovere l’emancipazione delle donne, in cui lei credeva fortemente, e valorizzare e restituire nuova dignità alle persone anziane, perché ‘il cervello non deve mai andare in pensione, ma acquisire nuove vitalità con l’avanzare dell’età”’.
L’autrice ha ripercorso le tappe fondamentali della vita della scienziata, a partire dalla scelta giovanile di ribellarsi alla volontà paterna, rompendo così i rigidi schemi della società patriarcale dell’epoca, per seguire la vocazione di frequentare gli studi universitari, in Medicina, a Torino.
“Da qui Rita – ha sottolineato la professoressa – ha cercato sempre di combattere il ruolo riduttivo assegnato alle donne in seno alla società, incoraggiando tutti, soprattutto i giovani, ad essere attori e non semplici spettatori delle proprie esistenze. Si è sempre battuta per l’uguaglianza intellettuale delle persone, senza distinzione di sesso”.
Rita Levi- Montalcini conseguì la laurea in Medicina e Chirurgia, con 110 e lode, nel 1936 e, per due anni, riuscì a realizzare pienamente il proprio sogno: essere una donna indipendente ed autonoma grazie all’esercizio della professione universitaria. “Ma tutte le sue aspirazioni si infransero nel novembre 1938, con l’emanazione del ‘Manifesto della Razza’, quando iniziò la discriminazione nei confronti degli ebrei, a causa della svolta in chiave antisemita adottata dal Fascismo – ha ricordato Francesca Valente – Da allora, trionfò la politica dell’odio, che conobbe il culmine nel 1939, quando Galeazzo Ciano firmò il ‘Patto d’Acciaio’ con la Germania nazista: da lì, iniziò lo sterminio della razza ebraica”.
La dott.ssa Valente ha osservato, in merito, come “solo nel 1934, proprio a palazzo Ferro Fini, Mussolini incontrò Hitler e gli espresse, dimostrando ancora autonomia di pensiero, la propria contrarietà riguardo alla discriminazione degli ebrei, giudicandola ‘un grave errore politico’”.
“Nel 1940 – ha proseguito la professoressa – dopo il ritorno a Torino dal Belgio, la scienziata allestì un piccolo laboratorio domestico nella propria camera: questa fu la svolta nella carriera della futura ‘Premio Nobel’, che Levi- Montalcini interpretò come dimostrazione di un proprio credo, ovvero che ‘da ogni tipo di avversità – in questo caso la guerra e le persecuzioni razziali – poteva sempre nascere una grande opportunità’”.
I Levi- Montalcini sopravvissero all’Olocausto rimanendo nascosti a Firenze, città nella quale approdarono nel 1943 per una serie di circostanze fortunate. Fino a un’altra grande svolta nella vita e nel percorso professionale di Rita. “Nel 1946 – ha continuato l’autrice – il biologo statunitense Hamburger la invitò a Saint Louis, per proseguire le sue ricerche scientifiche sul cervello umano presso la Washington University. Iniziò così per la scienziata una lunga parentesi trentennale negli USA, dove realizzò esperimenti fondamentali. Ma qui Rita dimostrò tutto il proprio spessore come persona: volle condividere il suo sogno americano con i giovani, portando a Roma il vasto patrimonio di conoscenze ed esperienze acquisiti, aprendo un piccolo Centro che con il passare degli anni seppe far crescere in modo costante”.
“Il 10 dicembre 1986, Rita Levi- Montalcini venne insignita del Premio Nobel per la Medicina – ha ricordato in conclusione la professoressa Francesca Valente – e durante la premiazione usò il ‘plurale maiestatis’, in quanto Rita era convinta che tutti i traguardi nella vita e, in particolare, i risultati scientifici, potevano essere conseguiti solo grazie ad un lavoro di squadra. E all’età di 92 anni, l’allora presidente della Repubblica Ciampi le telefonò annunciandole la nomina a ‘Senatore a vita’ per altissimi meriti scientifici e sociali: una grandissima soddisfazione per la scienziata, il coronamento di tutta una carriera, spesa per trent’anni all’estero, e il riconoscimento di essere stata vera ambasciatrice, di aver costruito un ponte ideale tra l’Italia e gli Stati Uniti. Senza dimenticare che, a 96 anni, Rita fondò un Centro- pilota per le ricerche sul cervello umano e, in particolare, sulle malattie neurogenetiche”.
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