“Accademico di nulla accademia e altri racconti”, un’ironica cornucopia degli umani vizi e virtù
27 Febbraio 2023 13:24
Uomini e donne comuni, giudici in pensione e avvocati in carriera, nullafacenti per professione e inventori senza sogni alla ricerca di una fuga dai giorni e dalla realtà: la cornucopia degli umani vizi e virtù si riversa tra le pagine dell’ultima raccolta di racconti di Gianluca Di Stefano con l’impeto attraente del monologo teatrale, tra ironia, paradossi e colti riferimenti letterari. I personaggi che abitano queste pagine, ciascuno con il proprio frammento di vita, non potrebbero essere più distanti gli uni dagli altri. Vivono esperienze diversissime, ma pur nella loro singolarità sono accomunati da uno stesso sentire: ciascuno a modo proprio, sono individui in cammino nel lungo e tortuoso pellegrinaggio della vita, alla ricerca febbrile di un senso che sembra sfuggire di continuo dalle loro mani.
Accademico di nulla accademia e altri racconti (Gruppo Albatros il Filo, giugno 2022) è il frutto di una sapiente indagine dell’autore sull’agire umano, non con l’intento di fornire una morale o una ideale linea di comportamento, ma per raccontare – spesso con sagace ironia – la complessità dei tempi in cui viviamo e dei modi, più o meno efficaci, che abbiamo scelto per affrontarli. Spingendosi talvolta fino al controsenso, i suoi quadri restano sempre vividi e credibili specchi nei quali riflettersi e riconoscere, nostro malgrado, noi stessi.
Il libro si apre con la narrazione di uno scenario amaro, senza dubbio figlio del nostro presente: “L’amore al tempo del lavoro precario”. Il protagonista del racconto è un sentimentale, un uomo innamorato che sceglie il matrimonio nonostante il suo nome sia ben inciso sul Libro del Grande Destino Precario. Non bastano gli avvertimenti degli amici e dei parenti, lui è convinto che l’amore possa superare qualsiasi scoglio, perché basta nutrirsi di baci e vestirsi la pelle di carezze. Quanto a lungo, però, può andare avanti una situazione simile? Quando il frigorifero si svuota e la speranza del prossimo lavoro saltuario si fa sempre più lontana e improbabile, ecco che anche l’amore rischia di passare in secondo piano, fino a scomparire. Risuona nelle orecchie del lettore l’allegro ritornello che negli anni Settanta recitava “Chi non lavora non fa l’amore”, ma se poi si guarda al presente e ai più di tre milioni di precari registrati in Italia alla fine del 2022 non si può che scendere a patti con una narrazione parodistica che porta con sé una verità più preoccupante di quanto vorremmo ammettere.
Possiamo affermare con buon margine di sicurezza che l’autore si serva della tecnica dello straniamento, nel tentativo di risvegliare i propri lettori dal torpore di una realtà sulla quale hanno smesso di interrogarsi: il suo modo di affrontare temi quali il razzismo, la discriminazione di genere, l’alienazione forzata, mostrandoli da un’angolazione differente rispetto a quanto ci si aspetterebbe permette di scorgerne i lati più nascosti, le contraddizioni più evidenti – si fa riferimento, per esempio, ai racconti “I maiali apolidi”, “Gli uomini non mi guardavano negli occhi” o “Il misantropo”. Altre storie, invece, assumono toni più luminosi, quale “Il giro del mondo il sei piani”, nel quale il senso del viaggio viene declinato in una scoperta tanto semplice quanto per nulla scontata: nel tempo del multiculturalismo e della globalizzazione, non bisogna necessariamente attraversare Paesi e continenti per ampliare i propri orizzonti, basta volgere lo sguardo e godere della ricchezza della diversità presente persino tra i diversi appartamenti di uno stesso palazzo.
In questo calderone tragicomico di personaggi alle prese con le proprie quotidiane agitazioni, c’è chi, come atto di personale ribellione nei confronti della realtà, sceglie di allontanarsene e di farsi vanto della propria immobilità. “Accademico di nulla accademia”, il racconto dal quale prende il titolo l’intera raccolta, è davvero il passaggio più emblematico della riflessione di Gianluca Di Stefano, nel quale sceglie un protagonista che, sin dalle prime righe, si presenta come quella tonalità di grigio che in nessuna maniera sembra manifestare oscillazioni verso il bianco o il nero. “Non so nulla e non so fare nulla. Non mi è mai interessato niente di nulla. Gli studi li ho interrotti senza rimpianti e non cerco gratificazioni nel lavoro, mi accontento che mi fornisca il necessario al mantenimento. Non ho passatempi e non coltivo le amicizie. Non faccio nulla che travalichi l’indispensabile, e in fondo se ci rifletto bene il non fare nulla è la cosa più difficile del mondo, la più difficile e la più intellettuale. Ma non ricerco significati perché il pensiero mi genera oppressioni. […] Non voto, non viaggio, non faccio sport. Vivo il mio esilio terrestre con un unico inutile scopo: non fare nulla. E poi la soddisfazione maggiore non è non avere nulla da fare, ma avere qualcosa da fare e non farla. Sono nullafacente e nullatenente; non ho nulla e per questo di nulla mi occupo. I problemi mi terrorizzano, come d’altronde la gente che va in escandescenze per un nonnulla.” Se le prime frasi riescono a strappare al lettore un sorriso divertito, quasi distaccato, andando avanti nel racconto sembra di scivolare in un abisso capace di suscitare allo stesso tempo orrore e conforto, sollevati dal peso della scelta, ma dispersi in un universo troppo sconfinato perché le nostre azioni possano avere effettivamente un peso specifico.
La dimensione onirica è un altro dei punti nodali della riflessione dell’autore, anche in questo caso affrontato con tagliente sagacia e ironia: talvolta nel sogno è possibile vivere esperienze straordinarie che sembrano reali, alcuni sono irrealizzabili, altri si concretizzano soltanto al risveglio, possono durare per sempre oppure svanire in un istante. Alcune persone, tuttavia, non riescono a godere della potenza liberatoria dei sogni, è per questo che il protagonista del racconto “La macchina dei sogni” decide per l’appunto di brevettare un dispositivo per registrare, immagazzinare e riproporre all’occorrenza i propri sogni in un mondo simulato tridimensionale. Anche uno strumento così prezioso, tuttavia, nelle mani sbagliate rischierebbe di creare dei condizionamenti in una dimensione che, per antonomasia, è perfettamente libera. Il sogno e la realtà dunque si sovrappongono, diventando talvolta irriconoscibili l’uno rispetto all’altra.
È importante sottolineare, soprattutto, quanto lo strumento dell’ironia sia utile ed efficace nella narrazione dell’autore: alcune pièce – così possiamo definirle, per la verve che fa apparire alcuni racconti perfetti per il palcoscenico – si profondono nella campionatura dei vizi più marcatamente sensibili degli uomini, presentandoci una sfilza di amanti e traditori, di personaggi furbi e in malafede che, se saremo abbastanza bravi nel sospendere il giudizio, sapranno strappare più di una risata, costringendoci ad ammettere che, in fin dei conti, da certe situazioni è possibile uscire indenni soltanto con un pizzico di disonestà.
Nell’ultimo racconto, l’autore chiude il cerchio del suo percorso narrativo offrendone la chiave di lettura: protagonista è Peripeto, il quale “concepì un giorno l’insensato proposito di abitare in un luogo felice”. Incamminatosi per questo viaggio alla ricerca della felicità, non riesce mai a trovarla tutta intera, ma sempre soltanto in parte. Viene da domandarsi, allora: è sensato muoversi, agitarsi, continuare a cercare spasmodicamente qualcosa che mai potremo ottenere per intero? Forse, cambiando prospettiva, potremo trovare una risposta, ma soltanto se siamo disposti a scoprire qualcosa di diverso da ciò che stavamo cercando.
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