“Il covid, la guerra, e la consolante nonnitudine”, un viaggio tra il presente e il passato
28 Febbraio 2023 15:31
Il tempo in cui viviamo è frenetico e senza memoria: ogni istante viene dato in pasto ai social e ai talk show senza essere vissuto davvero, all’insegna dell’ottimizzazione sfrenata delle proprie attività al fine di ottenere un profitto effimero, una felicità di plastica. Persino la guerra, nonostante il suo spettro aleggi minaccioso in Europa e nel mondo in maniera sempre più ingombrante, viene percepita con distacco, quasi non potesse in alcun modo scalfire le nostre abitudini intorpidite. Nel suo nuovo romanzo, Patrizia Fondelli cerca di risvegliare la coscienza dei propri lettori scegliendo come oggetto della sua riflessione proprio il tempo appena trascorso – ma ancora vivo e doloroso nella nostra memoria – del Covid-19 e del conseguente lockdown, individuando in esso più somiglianze di quante potremmo immaginarne con il tempo dei conflitti mondiali del XX secolo. L’autrice non ha vissuto il tempo delle Guerre nella sua esperienza diretta, ma le è stato raccontato con dovizia di particolari dai suoi nonni, perché non fosse dimenticato. La sua opera nasce dunque con questo intento: fare in modo che la memoria di chi ha vissuto tempi tanto terribili non vada sprecata, permettere alle nuove generazioni di conoscere e leggere il presente con maggiore consapevolezza, continuare a tramandare, perché quando meno ce lo aspettiamo il tempo continua a impartirci lezioni che non possiamo ignorare.
Già il titolo del libro “Il Covid, la guerra, e la consolante nonnitudine” (Gruppo Albatros il Filo, 2022) racchiude in sé i punti centrali sui quali verte la riflessione dell’autrice, che sin dalle prime pagine non cela una certa preoccupazione nel registrare i cambiamenti che da trent’anni scuotono il nostro mondo, lasciandolo precipitare in un baratro d’ombra. Lo sguardo sul presente non può che soffermarsi sui primi drammatici mesi del 2020, raccontati con parole che ben racchiudono la paura e le incertezze di un mondo che, da quel momento in poi, non sarà più lo stesso: “È accaduto l’inimmaginabile, distraendoci da criticità importanti non efficacemente affrontate e gestite. Nel giro di poche settimane un virus trasmesso – sembra – dall’animale all’uomo e partito dalla Cina, ha infettato il mondo intero, sovrapponendosi ad annosi irrisolti che hanno complicato la critica, impensabile circostanza. Inizialmente sono apparsi i primi contagi nel nord dell’Italia; la politica, al solito, ha espresso opinioni spesso contraddittorie, incapace di valutare la gravità della situazione, connotando l’infezione come un’influenza leggermente più grave di quella stagionale e oplà! Adesso siamo tutti confinati a casa, gli ospedali al collasso, il personale medico sfinito da orari interminabili per la cura e il soccorso degli ammalati. Il grande e positivo sogno della globalizzazione, di Schengen, che potremmo definire “l’uscio del trenta, da dove si esce e si entra”, sta miseramente franando. Le frontiere sono permeabili a transiti regolari e irregolari e il virus, democraticamente, non ha risparmiato nessun Paese o Continente. Le città deserte non offrono nessun “rifugio casalingo” che possa contenere l’angoscia per la salute personale e dei propri cari, per la non remota possibilità di perdere il lavoro.”
Il modo che l’autrice sceglie per raccontare il Covid è proprio quello della guerra moderna: dilagano il senso di vulnerabilità e la paura è di non essere in grado di proteggere i propri cari, non bastano le rassicurazioni dei politici o degli esperti. L’unica occasione in cui Fondelli sente di trovare conforto è nel ricordo dei nonni paterni: nell’abbraccio di un lontano profumo di gelsomino e naftalina la sua anima trova requie, come quando la loro presenza, da piccola, portava lontano ogni preoccupazione. I nonni dell’autrice, figli del tardo Ottocento, sono rappresentati nella memoria dell’autrice proprio con lo stesso eroismo con cui li percepiva quando era bambina: pare incomprensibile – soprattuto al giorno d’oggi – come abbiano potuto superare le difficoltà terribili della guerra, della povertà e della distruzione, trasformando con amore e impegno il niente in tutto.
La dimensione del ricordo diventa per l’autrice un contraltare del presente, del quale vengono evidenziate le brutture e le contraddizioni: dal proprio punto di vista, affronta con grande amarezza il tema di una parità di genere non ancora pienamente raggiunta, del razzismo e della mancanza di inclusione, della poca considerazione che viene garantita agli anziani – evidente soprattutto nel periodo pandemico – , ormai considerati “inutili” nella società del profitto. Evidenzia inoltre, senza esclusione di colpi, quanto la politica si stia svuotando sempre più dei propri valori, trasformandosi piuttosto in una cieca e disorientante corsa al potere. L’invito accorato dell’autrice è quello di spostare lo sguardo e concentrarsi maggiormente sull’essere, più che sull’avere, tornando ancora una volta all’esempio forte e incrollabile dei propri progenitori, concentrandosi in particolare sulla nonna. Gli episodi narrati riprendono la lungimiranza parsimoniosa di chi è stato abituato a vivere nella povertà più assoluta, restituendo valore alle piccole cose e alla cura che è bene dedicare alle persone e a tutto ciò che ci circonda. Un messaggio che l’autrice, più o meno velatamente, rivolge alle istituzioni e ai centri del potere: quanto potrebbe migliorare la qualità della vita degli individui se i capi del governo riuscissero, anche in piccola parte, a seguire questo esempio prezioso?
Guidata sempre da un profondo trasporto emotivo, la visione del presente di Patrizia Fondelli è una chiara lettura della complessità dei tempi, i quali non saranno mai più simili a quelli passati, poiché la globalizzazione, la costante interconnessione e gli stimoli dai quali siamo quotidianamente incalzati sono una realtà che non può essere ignorata. È proprio alla luce degli strumenti che il presente ha a disposizione che diventa più che mai fondamentale essere capaci di sfruttarli: se infatti l’autrice denuncia con rammarico il dilagare dei un’ignoranza che “uccide più del virus”, è attraverso la conoscenza, lo studio e la ricerca di fonti attendibili che è possibile sperare in una svolta più luminosa del futuro che ci aspetta. Se infatti abbiamo approfondito finora due delle linee temporali attenzionate dall’autrice – il passato della guerra e il presente del Covid – non possiamo tralasciare la terza direzione, quella rivolta al futuro e rappresentata dalle generazioni che verranno: i “nipoti”.
In questa tensione in avanti si concretizza il vero senso del tramandare: non è stipare esperienze ed emozioni dentro una valigia polverosa nella quale i ricordi si accumuleranno alla rinfusa confondendosi e sgualcendosi, ma ordinarli e prendersene cura perché possano essere sempre nuovi, riparare i punti usurati con la propria esperienza e donarli con amore, perché risultino sempre validi e attuali. Certo, il futuro fa paura e sembra oggi quanto mai incerto, ma condividere le proprie idee e i propri ideali con determinazione, basandosi sul buonsenso e sui valori forti con i quali si è cresciuti è sempre la strada più autentica da percorrere. Una luce di speranza nella disillusione dei tempi moderni, cullata da un ricordo che conforta e diretta verso un futuro ancora tutto da scrivere.
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