“La Fenice”, un romanzo corale di resilienza e rinascita
31 Marzo 2023 14:17
A tutti è capitato, almeno una volta nella vita, di sentirsi ridotti in cenere. Di fronte a una crisi o a situazioni di grande difficoltà, tutto ciò che abbiamo costruito o che conoscevamo appare distrutto, estraneo. In momenti del genere, è difficile trovare un senso alla vita e al proprio posto nel mondo. È proprio nei momenti più oscuri che è possibile trovare la forza per ricominciare. Rinascere dalle ceneri è infatti imparare a guardare oltre l’orrore, oltre gli ostacoli e trovare il coraggio di andare avanti, anche quando sembra che tutto sia perduto. Già dal titolo, il nuovo romanzo di Lucio Lucadamo, pubblicato per il Gruppo Albatros il Filo, richiama attraverso il suo simbolo mitologico per eccellenza, il percorso catartico al quale sono destinati i suoi protagonisti, arsi dal fuoco della disfatta per tornare a nuova vita: “La Fenice”.
Lucadamo ci propone un romanzo ambizioso, dall’approccio corale, che si presenta sin dalle prime pagine come una moltitudine di fili sospesi, matasse da sbrogliare e riavvolgere che a un tratto si scoprono indissolubilmente intrecciate l’una con l’altra. In una pluralità di voci e prospettive, personaggi provenienti da situazioni culturali e sociali molto diverse troveranno il loro perno nella città di Vancouver. La scelta della metropoli canadese non è casuale: essa stessa, con il suo carattere multiculturale e multietnico, permette di esplorare in modo approfondito le differenze socioculturali dei personaggi e di indagare le contraddizioni di luoghi in cui convivono le due anime dell’opulenza e della degradazione.
La prima tra le voci del libro è quella di un bambino: un dodicenne dell’etnia Kono che sta per abbandonare il tempo dell’innocenza. Il suo è un punto di vista sulle prime fortemente ingenuo, la sua vita è scandita dalle cure e dal duro lavoro dei genitori, dagli affetti e dalla spensieratezza: la vita piena e frugale di un villaggio dell’Africa occidentale. Si sta avvicinando a un momento fondamentale, ovvero il momento del passaggio dall’infanzia all’età adulta. I riti propiziatori del suo popolo lo affascinano e lo incuriosiscono, soprattutto dopo aver assistito al cambiamento radicale della sorella maggiore al ritorno dal suo rituale. La gioiosa e solare ragazzina entrata nel “bush” poche settimane prima era tornata con un nuovo nome, un atteggiamento di sontuosa ritualità e una spensieratezza ormai del tutto svanita. Ciò che il bambino non può ancora comprendere, ma che al lettore giunge con forza devastante, è il dramma del rito dell’escissione, una grave mutilazione considerata ancora in certe culture come foriera di grande fertilità. Quando in Sierra Leone scoppierà una ferocissima guerra civile, i due ragazzi vivranno un orrore che sembra essere destinato a inghiottirli nell’oblio, fino al momento in cui riusciranno a scappare nel disperato tentativo di ricominciare con una nuova vita.
È proprio nella città di Vancouver che si sviluppa il secondo filone narrativo: Michelle e Fred sono sposati, ma l’uomo appare borioso e pieno di sé, tanto che la moglie, una pittrice affamata di bellezza e creatività, si sente adesso profondamente inaridita e succube della formale meccanicità dei suoi giorni. Quando conosce Timothy, collega e rivale del marito alla University of British Columbia, per lei tutto cambia. Tra i due nasce un legame sempre più profondo, alimentato anche dall’interesse che suscita in lei il progetto rivoluzionario dell’uomo: risolvere il dramma della fame per milioni di persone, ingegnerizzando alcuni ceppi batterici così da renderli in grado di massimizzare le rese produttive dei cereali.
Il filo conduttore dell’intera vicenda è invece un detective unico nel suo genere, Robert Tremblay. Di lui ha voluto parlare lo stesso autore ai microfoni della trasmissione Se Scrivendo, il salotto letterario firmato CaosFilm: “Robert è un personaggio molto umano, estremamente fragile e molto anticonvenzionale. Basti pensare che si affida a dei bloc-notes in cartoncino, sui quali appunta tutte le sue considerazioni. Vive da un parte proiettato verso la sua famiglia, il cui fulcro sono la moglie giornalista e i figli, dall’altra verso il lavoro, scelto seguendo le orme paterne. Lui però non si accontenta di ricercare la giustizia e risolvere i crimini, desidera invece immedesimarsi nelle ragioni che hanno portato le persone a compiere certi atti”. La sua presenza sarà indispensabile dopo il ritrovamento del cadavere sfregiato di un pusher nella zona del DTES, uno dei quartieri più malfamati di Vancouver, ma non solo: dovrà indagare anche su una catastrofe avvenuta all’Istituto di Genomica Agraria che, se sulle prime appariva come un incidente, viene poi immediatamente classificato come attentato.
Impossibile non lasciarsi coinvolgere dall’infittirsi dei misteri che si susseguono in queste pagine, nell’arduo tentativo di decifrare gli indizi e le piste un istante prima di Tremblay: se infatti Lucadamo offre, con precisione scientifica, una minuziosa descrizione delle ambientazioni e degli avvenimenti narrati, dall’altra riesce a deviare l’attenzione del lettore lasciando che si focalizzi su questo o quell’altro dettaglio, così da procedere indisturbato all’architettura del prossimo esaltante colpo di scena. La stessa formazione professionale dell’autore, infatti – ecotossicologo presso il dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra dell’Università della Calabria – impone che nessun dettaglio venga tralasciato, per la buona riuscita di un esperimento.
Di forte interesse è l’attenzione che Lucadamo rivolge alla costruzione psicologica dei suoi personaggi: nel narrarne le vicende a strettissimo contatto l’autore restituisce dei caratteri vividamente tridimensionali, dei quali non nasconde le fragilità o le incertezze, ma che conservano dentro di sé la scintilla della rinascita. Ciascuno di essi, infatti, dovrà fare i conti con la discesa nei meandri della propria esistenza, lì dove la luce sembra non trovare spazio per brillare. Quando il sangue inizia a scorrere impetuoso e le mire sotterranee legate al clamoroso esperimento di Timothy vedono precipitare i fatti e cercano di impedire ad ogni costo che raggiunga il suo obiettivo, ecco che il riscatto tanto desiderato sembra sfumare per sempre. Le strade delle donne e degli uomini che costellano il romanzo saranno destinate a sciogliersi dopo essersi intrecciate, per poi ritrovarsi, forse, una volta per tutte in un futuro che non sarà mai più come prima.
Possiamo definire a pieno titolo la narrazione di Lucio Lucadamo come una danza di luci e ombre: già impregnata di descrizioni e misteri appassionanti, ricca di personaggi controversi dalle mille sfaccettature, è attenta a denunciare le troppe situazioni di degrado e alienazione – la guerra civile in Sierra Leone, come anche la spersonalizzazione causata dall’annientamento delle tradizioni indigene da parte delle scuole cattoliche nel DTES – che da un capo all’altro del mondo rischiano di intralciare il raggiungimento della pace o di un più alto bene comune. Notevole, in particolar modo, la scelta di accostare alla narrazione dei componimenti poetici che riassumessero, in pochi versi, l’atmosfera del capitolo a seguire. Come il coro nella tragedia greca entrava in dialogo con gli attori, costituendo un tramite per guidare la comprensione dello spettatore, allo stesso modo la poesia guida il lettore tra gli eventi e fornisce dei preziosissimi indizi per immedesimarsi al meglio nell’opera.
La Fenice è un romanzo dai mille volti, plurale e coinvolgente, capace di appassionare il lettore con i suoi misteri e al contempo di permettere una riflessione sulla resilienza umana, attraverso il suo invito a guardare oltre gli ostacoli e trovare la forza di rinascere, anche quando ci si sente arsi dal fuoco della disfatta.
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