Parkinson e Huntigton, i professionisti fanno rete. A Piacenza quasi 300 pazienti
22 Giugno 2023 12:23
La malattia di Parkinson e la malattia di Huntington sono patologie degenerative del sistema nervoso centrale, inquadrabili nell’ambito dei disturbi del movimento, caratterizzate da un decorso progressivo e da molteplici sintomi motori e non motori, cognitivi e comportamentali che necessitano di un supporto multispecialistico. Nella nostra provincia operatori e servizi dedicati hanno in carico oltre 277 pazienti con Parkinson e 14 con la malattia di Huntington: per tutti loro l’Ausl di Piacenza ha messo a punto un vero e proprio percorso diagnostico terapeutico assistenziale – definito dagli addetti ai lavori PDTA – in grado di garantire la continuità delle cure tra i servizi e i professionisti ospedalieri e territoriali.
Obiettivo, una volta stabilita la diagnosi, è quello di individuare gli interventi che meglio rispondono alle effettive esigenze del paziente, che spesso presenta una compresenza di bisogni sanitari e sociali. Un percorso già attivo da qualche anno, ma che grazie al protocollo firmato ieri dalla direzione generale dell’Ausl e dai rappresentanti piacentini delle associazioni dedicate ai malati affetti da Parkinson e malattia di Huntigton, è stato perfezionato ulteriormente.
“Stiamo parlando – ha spiegato il direttore generale dell’Ausl di Piacenza, Paola Bardasi – di due malattie decisamente complesse, per le quali ad oggi non esiste cura. Entrambe hanno effetti importanti non solo sui pazienti, ma anche sulle famiglie: purtroppo non è possibile togliere loro il dolore, quello che possiamo fare – con tutti i nostri professionisti – è affiancarle e sostenerle, nell’ottica di garantire ai loro cari malati la miglior vita possibile. Grazie a questo protocollo, che migliora ulteriormente un percorso già attivo da tempo, dimostriamo ancora una volta che Piacenza ha una marcia in più rispetto a tante altre province, e questo grazie al coinvolgimento attivo delle associazioni dei pazienti, le quali ci hanno sempre aiutato a individuare bisogni ed esigenze. In più, verrà presto allestito un tavolo tecnico insieme al Comune per continuare a migliorare questo documento, non abbiamo certo intenzione di fermarci qui”.
Ma come funziona, in termini operativi, il PDTA? A illustrarlo ci ha pensato la dottoressa Fabiola Magnifico, referente del progetto e responsabile dell’ambulatorio dedicato ai Disturbi del movimento.
“Percorso diagnostico terapeutico significa presa in carico del paziente fin dalle prime fasi della malattia. I nostri specialisti visitano le persone con sospetta diagnosi, le quali possono essere inviate all’ambulatorio Disturbi del movimento dell’ospedale di Piacenza dal medico di famiglia o da un altro professionista. Una volta stabilita la diagnosi, Parkinson o Huntigton, il neurologo prescrive una terapia specifica e predispone un percorso sanitario con controlli successivi per entrambe le patologie. Dopodiché, entrano in gioco tutte le figure professionali adeguate a gestire gli effetti collaterali, motori e anche non motori come disturbi del comportamento, disturbi depressivi, del sonno, urinali e gastroenterologici. Tutto questo fa ben comprendere come la presenza di altre figure professionali, come psicologi, logopedisti, dietisti, fisiatri e internisti, siano assolutamente fondamentali. Questo percorso nasce proprio dall’aiuto e dalla collaborazione di una fitta rete di professionisti che intervengono nella presa in carico del paziente in tutti i vari momenti della malattia”.
Per Enrico Bettinotti e Maria Rosa Ponginebbi, referenti piacentini delle associazioni Parkinson e malattia di Huntigton, la firma sul protocollo rappresenta “un traguardo importante legato alla condivisione di un percorso sia sanitario che sociale, ma anche e soprattutto un punto di partenza. La recente integrazione al PDTA è fondamentale per il paziente e i suoi famigliari. Tuttavia, c’è ancora tanto da fare: il nostro auspicio è che nell’immediato futuro si possa incrementare l’attenzione verso i caregiver dei malati, che spesso condividono quasi alla pari dei pazienti gli effetti della malattia”.
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