“Libera nel vento, A cavallo verso Santiago di Compostela”, la storia di un sereno e intenso cammino
28 Giugno 2023 14:07
Dino Marchese racconta che il viaggio è un concetto che ha un significato più profondo del mero trasferimento, dello spostamento da un luogo all’altro: il viaggio è tutto ciò che sta in mezzo tra il punto di partenza e la meta e ogni tappa in cui si articola ha un intimo significato, diverso per chiunque lo affronti. Pur compiendo lo stesso identico percorso, due persone ne trarrebbero esperienze ed emozioni diverse, perché nel viaggio convergono due realtà parallele, che normalmente convivono quietamente: il mondo interiore del viaggiatore, le sue emozioni e le motivazioni che muovono i suoi passi, le sue riflessioni e i propositi, e la nuova realtà che il viaggio gli presenta, gli stimoli e le prove, gioie e difficoltà. Ognuno ha un proprio modo di affrontare il viaggio e i suoi motivi per farlo, che sia per piacere o per curiosità, per spirito d’avventura o pellegrinaggio; l’allegria, le sfide, le difficoltà che il viaggio offre, vengono vissute diversamente da chi ne è coinvolto.
In “Libera nel vento, A cavallo verso Santiago di Compostela”, pubblicato da Europa Edizioni, Dino Marchese racconta il suo viaggio lungo il Cammino di Santiago, già foriero di numerosi racconti, dunque un esempio perfetto di come lo stesso percorso racchiuda diversi, innumerevoli significati. Il Cammino non è un viaggio qualsiasi, ma un pellegrinaggio: mette alla prova la volontà del pellegrino che lo affronta, le sue motivazioni, e lo ricompensa offrendogli ciò che è venuto a cercare, che sia perdono o tranquillità, chi per rispettare una promessa, chi per posare una pietra che rappresenta il suo fardello, il suo peccato o la sua colpa; chiunque trova la sua risposta, percorrendo il suo viaggio. Si tratta di un pellegrinaggio intimo, personale, non necessariamente religioso, come se il significato di quel percorso, scandito dalle frecce gialle che indicano la direzione da seguire, abbia trasceso persino il dogmatismo della teologia per abbracciare chiunque abbia intenzione di percorrerlo, a prescindere dalla sua fede, sempre salutandolo con il tipico augurio “Buen Camino”, rivolto a chi segue la via verso Santiago di Compostela. “Non è solo un percorso religioso: è un pellegrinaggio laico, così lo definisco, adatto anche ai non credenti. Certo, i segni religiosi ci sono e sono evidenti, ma ciò che conta davvero è quello che vedi dentro di te, e tutti abbiamo qualcosa da vedere e da scoprire, o riscoprire, dentro di noi”, racconta l’autore.
Dino Marchese affronta il Cammino in sella a Calypso, la sua cavalla, recentemente venuta a mancare, ripercorrendo minuziosamente le varie tappe di quel viaggio con lei, raccontando con vivida chiarezza il loro intenso legame, che si manifesta in quei piccoli gesti che l’autore non manca di descrivere: il modo in cui lei lo avverte di essere nervosa, battendo uno zoccolo sul suolo, il trotto allegro con cui lei gli viene incontro quando lo vede arrivare e i gesti d’affetto che si scambiano percorrendo le più ardue salite fianco a fianco, perché lui non vuole affaticarla troppo. Queste interazioni raccontano una vera e propria comunicazione tra Dino Marchese e Calypso, immediatamente comprensibile da chi è un “uomo di cavalli”, ossia chi ha vissuto sulla propria pelle quella connessione che si stabilisce tra il cavallo e chi lo monta a lungo, ma chiarificato anche a chi non l’ha mai sperimentata, proprio grazie alla dovizia di particolari con cui l’autore racconta di Calypso, interpretando ogni suo stato d’animo dai movimenti delle sue orecchie, dal suo respiro e dal battito del suo cuore.
Dino Marchese premette che questo è un romanzo di rimpianto e nostalgia, inevitabile quando si perde qualcuno che ti è stato vicino a lungo: trent’anni, un’età ragguardevole per un cavallo, consapevolezza che però non allevia il dolore. Un rimpianto che però non è sinonimo di rimorso, ma apre le porte a risorse emotive che normalmente rimangono nascoste. Una nostalgia che non è triste, ma rielabora, riavvolge il filo ed evoca quella realtà che non si può rivivere, concentrata, a volte, in un singolo episodio tanto denso e importante da racchiudere in sé l’intera essenza di ciò che rimpiangiamo. Per Dino Marchese quest’episodio è il cammino di Santiago, e tra le sue pagine, come promesso dall’autore, non si percepisce tristezza, ma grande serenità.
Risulta subito evidente che la nostalgia di cui parla l’autore si traduca naturalmente in una spiccata attenzione nel rievocare i momenti salienti di quel suo pellegrinaggio in sella a Calypso. I paesaggi descritti dall’autore, l’atmosfera che si respira nei borghi e villaggi dove gli abitanti offrono frutta ai pellegrini e paglia per Calypso, i diversi pellegrini che incrocia sul Cammino e condividono con lui brevi tratti di strada e i racconti sui motivi che li hanno portati a intraprendere il pellegrinaggio, formano un mosaico multicolore, tante gocce di un torrente che scorre placidamente nel suo letto pietroso: quelle pietre le trasportano i viaggiatori, portandole da casa o raccogliendole all’inizio del loro Cammino. “I sassi sono una delle tradizioni che punteggiano costantemente il Cammino. In origine erano i simboli di qualcosa che i pellegrini lasciavano sul sentiero del loro pellegrinaggio: qualche peccato da cui liberarsi, o per cui chiedere perdono. Si portavano il sasso da casa, come simbolo di ciò che volevano lasciare sul Cammino. Ora questa simbologia si è ampliata: ognuno lascia un sasso con un diverso significato, intimo e personale, che spesso solo chi mette la pietra conosce”, racconta l’autore: “Anch’io ho un sasso, nella bisaccia, raccolto alla partenza del mio Cammino. Ma non ho ancora deciso dove lasciarlo”. Una semplice pietra che racchiude il significato di un intero viaggio, “intimo e personale”: è proprio questo che Dino Marchese offre ai suoi lettori, la storia di un viaggio ricco di incontri unici e spunti di riflessione profondi, ricco di empatia e serenità. L’autore riesce a raccontare moltissimo con poche parole delle persone che conosce sul Cammino, rispettando efficacemente le dinamiche di quegli incontri: durante il Cammino è possibile trovarsi a percorrere alcuni brevi tratti di strada con altri pellegrini, poi ognuno procede al proprio passo, ma quei momenti offrono l’opportunità di conoscere approfonditamente le persone con cui si trascorre quel poco tempo a disposizione, talvolta condividendo gli intimi motivi del proprio viaggio. Così come queste persone si sono presentate all’autore durante il suo pellegrinaggio, lui li descrive ai suoi lettori.
Il calmo respiro della narrazione ci accompagna lungo il Cammino dell’autore, prezioso perché unico, piacevolmente contemplativo ed evocativo. Il racconto di un viaggio anacronistico e profondamente libero da tutti quegli impegni e doveri che non provengano da se stessi. Perché Sul Cammino non esiste tutto il resto, ma soltanto la strada da percorrere, i tuoi occasionali compagni di viaggio e il motivo che ti ha condotto lì.
“Io ho intrapreso questa avventura senza avere una richiesta puntuale da chiedere al Cammino; è più come una ricerca interiore di me stesso. Entrambi i modi di avvicinarsi all’esperienza sono buoni, e ce ne sono anche altri ancora, di legittimi: ho capito che il Cammino non chiede, offre”.
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