La ragazza di fuoco e il gioco del pianto di “Elemental”
L’abbiamo già detto tante volte scrollando la testa “Eh, la Pixar non è più quella di una volta” e “Elemental”, diretto da Peter Sohn, non è una rivoluzione per il mondo dell’animazione statunitense: per quella, è meglio rivolgersi a Phil Lord e Christopher Miller, quelli di “The Lego Movie” e dei due Spider-Man animati.
Nella modernissima Elemental City, gli elementi della vita, acqua, terra, fuoco, aria, coesistono in una convivenza pacifica ma ancora diffidente. La città è dominata dall’acqua, pensata per l’acqua, e se terra e aria prosperano, chi è fuoco deve stare attento a come si muove. Nel quartiere di Firetown abita Ember, ragazza di fuoco con poca pazienza, cresciuta per ereditare dal padre un negozio popolare. L’incontro che rimette in discussione un destino già scritto è quello con un ragazzo d’acqua di nome Wade, che viene dai quartieri alti: Wade è maldestro, romantico, sensibile, generoso e divertente. Nel goffo procedere della loro conoscenza, che attraversa tutti i passaggi canonici delle uscite di nascosto fino al pranzo con i parenti che raccontano episodi imbarazzanti sul piccolo Wade e si complimentano per la proprietà di linguaggio di Ember, che è madrelingua, i due si trovano di fronte una serie di problemi ma anche continue soluzioni: se è complicato andare al cinema con una fiamma accesa, non è da tutti avere la possibilità di volare per la città su una mongolfiera.
Il film è derivativo sia come trama (l’integrazione tra ambienti e culture diverse, ispirata al passato da immigrato del suo regista, newyorkese di origini coreane, era raccontata con maggiore profondità e struttura narrativa in “Zootropolis”) sia come visione (i personaggi astratti rappresentati attraverso colori simbolici li abbiamo già visti in “Inside Out”), ma questa storia d’amore tra opposti che porta con sé ragionamenti sull’immigrazione, l’inclusione, l’ambiente, le classi sociali, le tradizioni, la famiglia e le sue aspettative, è una storia di ieri e una storia di oggi, che fa un passo avanti verso le storie di domani.
Per il criterio del “se mi fa piangere mi piace” “Elemental” funziona, ma io, che mi commuovo davanti alle pubblicità del Natale come quella del maestro e del suo panettoncino sigh sob sniff, al gioco del pianto sarei davvero una pessima concorrente.
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