Il Caso Claps: in tv il true crime punta all’essenzialità dei fatti
L’essenziale: questa è la formula giusta per raccontare, oggi, i fatti di cronaca, soprattutto quando si tratta di uno dei più drammatici che hanno segnato la Storia italiana più recente. Il caso di Elisa Claps – l’adolescente di Potenza morta il 12 settembre 1993 per mano di Danilo Restivo, il cui corpo è rimasto nascosto per 17 anni nel sottotetto della Chiesa della SS. Trinità del capoluogo lucano – torna a scuotere il pubblico attraverso due prodotti mediali differenti (una miniserie TV e un podcast/documentario), ma che hanno in comune una grande qualità: raccontare i fatti nella loro essenzialità, senza cedere mai alla tentazione di accentuare gli elementi già torbidi di una vicenda raccapricciante. Una scomparsa, quella di Elisa Claps, che ha sempre intessuto un rapporto a doppio filo con i media, in particolare con la televisione, grazie anche all’instancabile impegno da parte dei familiari a non spegnere i riflettori sul caso e al supporto di trasmissioni, a partire da “Chi l’ha visto?” (Rai3), che alla scomparsa di Claps hanno dedicato uno spazio costante negli anni precedenti (ma anche dopo) il ritrovamento. Come detto, sono due le iniziative mediali promosse in occasione del trentesimo anniversario della sparizione della giovane: la prima è “Per Elisa – Il caso Claps”, una fiction prodotta da Fastfilm Srl e Cosmopolitan Pictures Limited – in collaborazione con Rai Fiction e ITV Studios – andata in onda in prima serata su Rai1 in sei puntate, ma disponibile anche on demand sulla piattaforma Rai-Play. La mini-serie, diretta dal regista Marco Pontecorvo, ripercorre i primi 17 anni del caso, dalla scomparsa di Elisa fino al ritrovamento del corpo; un lavoro di ricostruzione potente, che si avvale del prezioso contributo alla sceneggiatura di Terry Cafolla, Valerio D’Annunzio e Andrea Valagussa (e della consulenza della famiglia Claps), capace di mettere in fila tutti gli elementi in modo pulito e essenziale, senza eccedere nel drama.
Il senso di disagio e di irrequietezza si percepisce già nell’uso sapiente della fotografia di Vincenzo Carpineta, che predilige i toni del grigio che sbiadiscono volti e ambientazioni, quasi a renderli impalpabili, cui si affianca un uso attento di inquadrature dall’alto della città di Potenza, in particolare sulle sue numerose scale labirintiche, che ne amplificano il senso di angoscia. A corollario di una produzione rispettosa e curata del caso, c’è l’interpretazione equilibrata e mai sopra le righe degli attori, tra cui spicca quella di Gianmarco Saurino (Gildo Claps) e di Anna Ferruzzo (Filomena Claps). Oltre a “Per Elisa”, c’è un altro prodotto che ha ripercorso l’intera storia, questa volta avvalendosi delle testimonianze dei diversi personaggi (reali) che hanno gravitato attorno alla vicenda: si tratta di Dove nessuno guarda. Il caso Elisa Claps”, il podcast e la docu-serie curati dal giornalista Pablo Trincia e prodotti da Chora Media e SkyTg24. Disponibile in formato podcast dallo scorso 12 settembre su tutte le principali piattaforme streaming e andato in onda in prima serata il 13 e 14 novembre su SkyTg24 (ma disponibile on demand anche su Now), “Dove nessuno guarda” fa leva su un lavoro scrupoloso, puntuale e preciso imbastito da Trincia, il quale ricostruisce con attenzione, solennità e rispetto le diverse anime del caso Claps.
Dalle carte processuali passando per le voci di inquirenti e familiari, così come le difficoltà nella conduzione delle indagini, “Dove nessuno guarda” restituisce un quadro minuzioso di ciò che ha reso la storia di Elisa Claps un racconto di cronaca cupo e pieno di ombre, ancora oggi senza risposte, ma contribuisce anche a dare segnali precisi sul modo in cui certe narrazioni, in particolare quelle relative a storie di cronaca nera e, più nello specifico, ai femminicidi, vanno condotte. “Dove nessuno guarda”, infatti, si pone domande giuste, senza retorica, con l’obiettivo di raccontare i fatti nella loro purezza. Ancora una volta, eliminando tutto ciò che c’è di superfluo o romanzato in queste vicende; perché affidarsi all’essenzialità si rivela la sola e unica chiave efficace per rispettare le vittime, in primo luogo, ma anche i loro familiari che con il dolore perenne di una perdita sono costretti a convivere ogni giorno.
di Fabrizia Malgieri
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