Ministry of Broadcast: l’incontro tra “1984” di Orwell e i reality show
Osservando un reality show televisivo è possibile portare avanti diverse riflessioni su 1984, il famosissimo romanzo di fantapolitica scritto da George Orwell e pubblicato nel 1949. Il fatto stesso che il reality Il Grande Fratello abbia lo stesso nome del Big Brother di 1984, che vede e controlla tutto, dovrebbe far riflettere, perché non è un nome casuale. Il tipico reality televisivo è, in fondo, niente più che una ludicizzazione del controllo, in cui la sorveglianza attiva e costante (e spesso pronta a punire) viene presentata in una prospettiva ludica, patinata, gradevole.
Considerando queste premesse, non c’è da stupirsi davanti a un videogioco come Ministry of Broadcast, pubblicato nel 2020, che va a ricombinare in modo inedito la visione orwelliana di 1984 con i reality show. Nel gioco ci si trova davanti a una società distopica con una forte enfasi su sorveglianza, controllo e punizione, tre elementi strettamente legati tra di loro in un gran numero di rappresentazioni di questo genere. L’immaginaria nazione in cui è ambientata l’avventura è anche tagliata a metà da una grande muraglia, definita semplicemente Il Muro. Si gioca nei panni di Orange (che, non a caso, ha i capelli arancioni), che desidera attraversare il Muro per ricongiungersi ai suoi cari.
L’unico modo che ha per poterlo fare è prendere parte a un reality show organizzato dal regime: il Wall Show.
Questo reality è fonte di una serie di situazioni che generano risate amare, in cui il protagonista si trova continuamente a compiere azioni orribili, che vengono però spettacolarizzate ed edulcorate. Prima sguinzaglia dei cani feroci contro altre persone, poi getta in acqua dei suoi amici e ne spinge altri contro spuntoni acuminati. E molto altro ancora. Nessuno di loro muore, ma tutti questi gesti appaiono come dei tentati omicidi, che però fanno “parte del gioco”. Orange non è certo l’eroe della situazione, sempre capace di fare la scelta giusta, ma non è nemmeno un sadico o un criminale. È un individuo comune, che ha accettato l’ordine delle cose. Per superare il Muro deve partecipare al Wall Show, senza farsi troppi scrupoli.
Non ci sono alternative e non ha il controllo degli eventi.
A ben vedere, questa non è solo una riflessione sulla natura umana in una società del genere, ma anche sul medium videoludico. Orange non ha alternative, non può fare altro che giocare, proprio perché è il protagonista di un videogioco. C’è qualcun altro dall’esterno che lo guida: il videogiocatore. Il controllo distopico si duplica nel controllo sul personaggio, che è costantemente tenuto sotto sorveglianza non solo dalle numerose telecamere del regime, ma anche dall’occhio “divino” di chi sta giocando a Ministry of Broadcast. A conferma di questa duplice lettura, non mancano alcuni momenti di rottura della quarta parete, legati in particolar modo alle frasi pronunciate da un corvo, che accompagna Orange per gran parte del tempo e che si presenta come il Grillo Parlante di Pinocchio. Il corvo dispensa consigli, ma è anche sempre pronto a formulare pesanti e cinici giudizi morali sulle azioni compiute. Il corvo sta parlando al personaggio o al giocatore? A entrambi. Orange porta avanti il suo operato solo perché chi gioca preme determinati pulsanti e interagisce con lui, facendo progredire la storia. Lui, in fondo, è solo un mero esecutore degli ordini. Una giustificazione fin troppo facile per il male compiuto.
di Francesco Toniolo
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