Days Gone e quel maledetto politicamente corretto che ha rovinato il gioco… forse
Di Andrea Peroni 16 Dicembre 2022 04:29
Days Gone. Chi si ricorda di questa dimenticata, ma neanche troppo, produzione targata PlayStation? Passato alla storia come la più sfigata esclusiva di Ps4, il gioco open world a base di zombie di Sony Bend Studio balza di tanto in tanto all’onore delle cronache, come è accaduto anche di recente. Ha forse a che fare con un possibile annuncio di un sequel? Assolutamente no. La risposta di critica (e anche pubblico, non nascondiamoci dietro il dito) nel 2019 non convinse quella Sony che in quegli anni stava mostrando le unghie con Horizon: Zero Dawn, God of War e Marvel’s Spider-Man, e così il franchise di Days Gone venne messo prontamente a tacere senza dargli una seconda possibilità.
C’è da dire che negli anni, dopo un esordio parecchio problematico fatto di glitch e bug come poi la software house stessa ha ammesso, Days Gone è riuscito a mantenere una buona community che ancora spera, invano, in un secondo capitolo. Una sorta di movimento alla #RestoreTheSnyderVerse, per intenderci, ma per il momento Sony è stata categorica: l’ip viene messa in soffitta, Bend Studio viene assegnata a un videogioco tutto nuovo (che comunque riciclerà parte delle idee di Days Gone 2), e i principali ideatori del franchise si ritrovano con le mani in mano. Desiderosi, in alcuni casi, di prendersi una rivincita. Rancorosi, in altri, verso tutti e tutto.
È il caso di John Garvin, ex director di Bend Studio oggi a piedi, che negli anni è diventato tristemente famoso per le sue sparate nel tentativo di difendere a spada tratta Days Gone. Se già in passato lo sviluppatore, insieme al collega Jeff Ross, aveva clamorosamente sbagliato le sue stime di vendita del gioco dichiarando che Days Gone aveva superato i numeri di Ghost of Tsushima (no, non è così), negli ultimi giorni un polemico tweet di Garvin, poi rimosso dopo essersi reso conto dello sproloquio, aveva scatenato un nuovo dibattito a senso unico. Contro Garvin, chiaramente, perché anche i più affezionati seguaci di Days Gone non hanno potuto far altro che cercare di far rinsavire l’uomo.
Rispondendo a una particolare domanda di un utente in merito all’insuccesso del gioco, Garvin è infatti riuscito a tirare in ballo l’elemento dietro cui si nascondono tutti di fronte a un insuccesso: il politicamente corretto. Paradossalmente, il politically correct viene sfruttato come scusa in entrambi i sensi in più ambiti: tra le più frequenti critiche mosse a Netflix, ad esempio, c’è il fatto che le serie del colosso dello streaming si rifanno spesso a contesti socioculturali che rappresentano ed esaltano quante più minoranze possibili, ma anche Elizabeth Banks, regista del fallimentare reboot “Charlie’s Angel”, diede la colpa all’immancabile sessismo.
Garvin, dal canto suo, segue sostanzialmente la linea di Banks, ma al contrario. Oltre a dare la colpa ai membri della stampa specializzata, che a suo dire non avevano neppure terminato il gioco e avevano anzi già deciso di bocciare Days Gone, l’ex director rincara la dose e butta nel calderone anche il movimento woke, termine utilizzato oggi in modo dispregiativo per coloro che appoggiano idee politiche progressiste che riguardano ingiustizie razziali, sociali e discriminazioni. Insomma, il fatto che Deacon St. John, carismatico protagonista del gioco, fosse un motociclista caucasico dell’Oregon che passa il tempo a osservare il fondoschiena della sua ragazza è stato secondo Garvin il vero problema di Days Gone, schiacciato dal politicamente corretto di una società che vuole uniformare il pensiero, abbattere il patriarcato e distruggere misogini come Deacon. O quasi.
Col senno di poi, forse Garvin si è reso conto dell’assurdità delle sue polemiche, davvero sterili se si pensa che pochi mesi prima la stampa di tutto il mondo aveva esaltato la magnificenza di Red Dead Redemption 2, il cui protagonista, guarda un po’, è proprio un burbero cowboy dalla pelle bianca. Le recenti dichiarazioni di Garvin sono solo le ultime di uno sviluppatore che spesso ha lanciato sparate poco comprensibili, come la famosa accusa rivolta addirittura ai fan del gioco incolpati per non aver speso 70€ al lancio, se davvero fossero stati così interessati al gioco. Opinioni poco condivisibili, a onor del vero.
Certamente Garvin vuole togliersi qualche sassolino dalla scarpa per difendere la sua creatura che non è mai riuscita a spiccare il volo, ma a volte il silenzio è l’arma migliore, in quanto il rischio di scadere nel patetico è alto. E anzi, a ben pensarci, il baratro è già stato raggiunto. I problemi di Days Gone, difatti, sono stati ben altri, e in Bend Studio gli sviluppatori si stanno ancora mangiando le mani per l’occasione sprecata di sedere al tavolo dei grandi tra i PlayStation Studios. Ai fan di Days Gone, invece, non resta altro che ricordare i viaggi in moto tra le foreste dell’Oregon a caccia di zombie, con la consapevolezza che la storia di Deacon non avrà mai una fine. A meno di improbabili miracoli.
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