Essere gay è ancora un problema. Anche se sei in un videogioco
Di Andrea Peroni 24 Aprile 2023 04:05
C’è un pattern ricorrente ancora oggi: la presenza di un personaggio lgbtqia+ in un qualsiasi prodotto di intrattenimento è ormai vista come una mossa politica, una cospirazione ordita da un non ben precisato ordine mondiale che vuole imporre l’idea che siamo tutti uguali. No, affatto, non siamo tutti uguali. Omosessuale è peggio di eterosessuale, i gay rovinano storie e personaggi, i diversi-da-noi sono un elemento che certamente fa parte della società ma non merita di essere rappresentato. Non sempre. Non troppo spesso. Ma questo, ovviamente, è tutto frutto del pensiero di quella ristretta ma ancora rumorosissima fetta di consumatori che proprio non ne vuole sapere di comprendere il mondo moderno.
Dal calcio alla vita di tutti i giorni, l’annosa questione del razzismo e della discriminazione, in ogni sua forma, raggiunge inevitabilmente anche quei videogiochi che tentano in tutti i modi di far capire al pubblico la straordinarietà della vita, la bellezza della diversità e l’importanza di essere se stessi, essere umani. Perché è vero che siamo tutti umani, ma alcuni umani sono meno umani di altri. L’ultima prova di forza di questo scandaloso branco di neandertaliani è arrivata da The Burning Shores, apprezzata espansione della produzione targata PlayStation Horizon: Forbidden West. Un pacchetto di contenuti aggiuntivi che segue le nuove vicende della prode guerriera Aloy, ultimo barlume di speranza per il mondo sotto la costante minaccia delle macchine ribelli.
Ma anche in un contesto fantascientifico come questo, per molti detrattori, non c’è spazio per chi è omosessuale. Nel corso della storia di Burning Shores, si scopre infatti che Aloy non è etero. Conseguenza: panico totale per tutti coloro che ci tengono a far sapere che la propria sessualità viene messa a dura prova, o addirittura in imbarazzo o in dubbio, di fronte a un personaggio che prima si pensava fosse etero. Il sempreverde capo d’accusa del politicamente corretto è servito su un piatto d’argento, e Burning Shores viene bombardato di recensioni negative che nulla hanno a che fare con la qualità del prodotto, in verità un’ottima espansione che amplia quanto di già buono c’era prima in Horizon 2, e si concentrano invece sul pomo della discordia.
C’è una sottilissima linea tra inclusione e ossessione, questo non lo si può negare. Hollywood, ma non solo, sta cercando di rimediare ai suoi errori del passato, alla chiusura mentale con la quale ha affrontato un contesto storico tuttavia completamente differente da quello di oggi. E non sempre l’inclusione sta premiando, perché quando questa è forzata, inutile dirlo, è anche comprensibilmente criticata. Basta prendere la differenza tra due prodotti molto criticati e in uscita a breve: il remake live action de “La Sirenetta” targato Disney, e il docudrama su Cleopatra realizzato da Netflix. Halle Bailey è ancora nell’occhio del ciclone degli odiatori del web per il colore della sua pelle, inadatto, per qualcuno, a rappresentare un personaggio di finzione quale una sirena. Adele James interpreterà invece la regina più famosa d’Egitto, andando incontro al revisionismo storico che sta facendo adirare persino gli stessi egiziani. Due modi differenti di reinterpretare qualcosa che già si conosce, sfociando comunque, nel caso di Netflix, in una scelta ben poco condivisibile poiché appunto si parla di un reale personaggio storico.
Ma laddove la tematica del colore della pelle, o nel caso di Horizon l’orientamento sessuale, non va minimamente a intaccare una storia di finzione, dove sarebbe il problema? Probabilmente non lo sanno neppure i trogloditi che esacerbano il web con i loro sproloqui, con l’unico scopo di screditare una produzione poiché, a loro dire, l’inclusione di una Aloy omosessuale è una cosa gravissima, ledente l’opera stessa. E Sony, di rimbalzo, si prende in faccia il letame internettiano che già era esploso con The Last of Us: Parte 2 nel 2020, dopo la rivelazione che la giovane Ellie aveva intrapreso una relazione lesbica. Anche in quel caso, i puri e sacri maschi alfa non poterono far altro che riversare tutto il loro odio nel vedersi privati di un sogno proibito – che peraltro era digitale, ma tant’è.
Il problema, semmai, nasce proprio nel momento in cui uno studio o un’azienda si ritrova costretta a infilare a forza tematiche lgbtqia+, dando ancor di più il senso di non appartenenza e inclusione. L’esempio di Netflix, appunto, è quello di un’azienda che non percepisce i propri sbagli. Quello di Burning Shores, introdotto come elemento secondario e facente semplicemente parte della caratterizzazione della protagonista, di contro, è il modo più adatto per far uscire allo scoperto chi è rimasto bloccato nel secolo scorso. E che magari ha gridato al capolavoro con God of War solo perché Kratos ha avuto un figlio da una donna – che, udite udite, in realtà era una gigantessa di Jotunheim, e dunque benvenuta contaminazione etnica.
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