Alpini, il comandante Primicerj:
“L’adunata è una festa di popolo”
22 Marzo 2013 10:28
A pochi metri dal contestato monumento alla vittoria di Bolzano si erige un altro palazzo realizzato su progetto dell’architetto Piacentini, è il Comando delle Truppe Alpine. Ad accoglierci nella maestosa struttura con una vigorosa stretta di mano, la divisa mimetica e l’immancabile cappello, è il generale di Corpo d’Armata Alberto Primicerj: da lui dipendono diecimila uomini. Il salotto è allestito per l’intervista ma il comandante preferisce rispondere alle domande restando in piedi. Gentile e disponibile, alle telecamere di Telelibertà ha raccontato le tappe salienti della storia degli alpini, dalla nascita nel 1872 ad opera del capitano Giuseppe Perrucchetti con l’obiettivo di difendere l’arco alpino, al battesimo di fuoco nel1896 inEritrea, un ambiente anomalo per chi è addestrato alla montagna, e poi ancora le guerre mondiali, la fine della leva, l’attuale impegno al di fuori dei confini nazionali. Il generale ha sottolineato anche l’impegno per la solidarietà e le operazioni civili che hanno avvicinato e reso indissolubile il rapporto tra gli alpini e la popolazione.
Perché gli alpini riescono a creare questo spirito di appartenenza che non si riscontra in altri corpi? Lo spirito di corpo degli alpini è unico e si deve, in parte, al tipo di esperienza vissuta durante il servizio militare, inoltre certi valori vengono amplificati dall’ambiente naturale in cui gli alpini operano. Ho avuto modo di conoscere da vicino anche altri eserciti della Nato, ma è difficile trovare lo spirito degli alpini italiani. E’ unico anche lo spirito dell’Ana: l’associazione è custode di valori importanti, riferimento per la vita di ognuno di noi. Ciò che fa l’Ana, cementa, unisce e costituisce questo spirito di corpo.
Qual è il ruolo attuale degli alpini? Dalla difesa dei confini nazionali siamo passati alla difesa della pace e della sicurezza in tutto il mondo e da un esercito di leva siamo passati ad un esercito di professionisti. Un corpo che si è evoluto ma che ha conservato un minimo comune denominatore rappresentato dalla capacità di vivere, operare e combattere in territori impervi. Fuori dai confini nazionali il nostro obiettivo è portare libertà, sicurezza e pace. E’ qui che gli alpini mostrano la preparazione militare e il loro spirito umanitario che li contraddistingue. I nostri ragazzi agiscono nel rispetto della dignità e della realtà in cui vanno a operare.
In Afghanistan, tra i vostri uomini, il tributo di sangue è stato elevato. Come vi ponete di fronte a questi eventi luttuosi? In Afghanistan stiamo cercando di stabilire la sicurezza in un ambiente conflittuale. Alcuni colleghi hanno perso la vita e questo è il pegno che gli alpini italiani pagano alla pace e alla libertà. Siamo professionisti: il dolore è inequivocabile ma alla morte siamo preparati. Noi cerchiamo di stare il più possibile vicino alle famiglie. Ogni volta in cui sono andato a Ciampino ad accogliere le salme dei nostri ragazzi sono rimasto colpito dalla dignità delle loro famiglie. Queste persone hanno dato la vita per un ideale e la popolazione deve ricordarli nel modo migliore.
Che cosa rappresenta per un alpino l’Adunata nazionale? L’adunata è un evento straordinario di gioia e di festa. Gioia perché ci si ritrova tra persone che pensano e sentono allo stesso modo e che hanno condiviso le stesse esperienze. Festa perché, lo vedrete a Piacenza: è una grande festa di popolo che vale la pena di vivere.
Cosa consiglia ai ragazzi che si vogliono avvicinare al corpo degli Alpini? Ai ragazzi di Piacenza dico di assistere all’Adunata per capire cosa significa essere alpino, a tutti gli altri dico che questo è un desiderio che va assecondato. I nostri ragazzi credono in quello che fanno, amano la montagna e soprattutto amano questo Paese. Noi li aspettiamo a braccia aperte e posso garantire che se sceglieranno questa strada avranno grosse soddisfazioni.
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