Con “Passatempo” Gianni Amelio apre la sezione Short a Venezia

30 Agosto 2019 16:02

DALLA NOSTRA INVIATA A VENEZIA BARBARA BELZINI

La Fondazione Fare Cinema presieduta da Marco Bellocchio e diretta da Paola Pedrazzini ha aperto oggi la sezione Short Italian Cinema con “Passatempo”, il cortometraggio diretto da Gianni Amelio e realizzato nell’ambito del progetto di alta formazione cinematografica“Fare Cinema” 2018. Un evento speciale fuori concorso che ha inaugurato la quarta edizione di Sic@Sic – Short Italian Cinema @ Settimana Internazionale della Critica alla 76esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia.

“Il cortometraggio diretto da Gianni Amelio è un piccolo capolavoro, estremamente rigoroso nella forma, straordinario nelle immagini, originalissimo nella fabula – ha commentato  Paola Pedrazzini -: una storia surreale e allegorica che racchiude una riflessione profonda sulla realtà, filtrata dal linguaggio dell’arte in modo assolutamente non banale e non retorico. Notevole la fotografia di Luan Amelio UJkaj che amplifica la suggestione dei luoghi (piazza Cavalli in notturna, la piazza del duomo di Bobbio e il fiume Trebbia…) e dei volti degli straordinari protagonisti: il pluripremiato Renato Carpentieri e l’esordiente Daouda Sissoko. E’ un onore e un grande piacere vedere “premiato” il nostro lavoro: il mio grazie va in particolare al Maestro Amelio e alla generosità con cui ha lavorato a questo progetto. Sono felice della sinergia con una realtà viva e interessante come la Settimana Internazionale della Critica di Venezia curata con passione e competenza da Giona Nazzaro”.
Interpretato da Renato Carpentieri e da Daouda Sissoko, realizzato con la troupe storica del regista, “Passatempo” racconta una gara enigmistica tra un professore e un ragazzo migrante del Mali, una storia onirica, quasi da incubo, simbolicamente molto forte in questo momento storico. L’anziano uomo bianco e il giovane nero si fronteggiano, senza mai riuscire a superare tutti gli ostacoli del gioco al contrario. Nella bellissima sequenza finale, un Carpentieri-Aschenbach sulle rive splendenti del Trebbia ha l’opportunità di vedere un episodio sgradevole, ma torna al suo passatempo appunto, invece di capire qualcosa che dovremmo capire anche noi.

Un piccolo film politico, dove le poche parole (crociate) offrono lo spunto per una riflessione allegorica sul nostro tempo, e sulla chiave che è necessario trovare per arrivare alla soluzione, che non è solo trovare la definizione di chi guidava il carro da guerra

Abbiamo incontrato Gianni Amelio dopo la presentazione, per fare il punto sulla positiva esperienza di Fare Cinema.

Ancora una volta da Bobbio nasce un cortometraggio che arriva ai Festival.

“Ci ero già stato una decina di anni fa ma solo a fare un incontro teorico. Quando Bellocchio mi ha chiesto di tenere il corso, mi ha fatto venire voglia di cimentarmi su una cosa alla quale non pensavo proprio. Ma c’era un dato che mi spingeva a osare: insegno al Centro Sperimentale dagli anni ‘80, ho sempre battuto e ribattuto sulla struttura che dovrebbe avere un corto ma non ne avevo mai fatti. Qualche volta mi vergognavo anche perché teorizzavo su qualcosa che io personalmente non avevo mai sperimentato. Ero cosciente di dire cose pertinenti ma a volte mi ritenevo anche un usurpatore di idee. Mi sono detto “Ecco, questa è l’occasione per capire, per dimostrare a me stesso se le cose che dico a parole poi riesco a verificarle nei fatti”.

Come ha lavorato con i 20 ragazzi del corso?

“La particolarità di Bobbio è che coinvolge i ragazzi nel lavoro pratico. Non possono ovviamente fare i registi, non hanno esperienza e non possono dire cose che non accetterei nemmeno da un mio consumato aiuto regista. Ho cominciato con la gavetta e ho cercato di trasmettere questo concetto: che si può partecipare alla regia di un film anche aiutando un macchinista a sollevare un pezzo di carrello. Si impara dal basso ma non si resta in basso se le idee intanto camminano e si sviluppano. Ho chiesto a loro di fare una scelta di campo e sui titoli di coda ci sono tutti: scenografi, fotografi e alla fine il gruppo meno nutrito è quello della regia, sono solo 4. Ho cercato di far capire che il cinema é anche fatica oltre che lavoro intellettuale, e che si deve essere a volte talmente utili da partecipare a una cosa ma non pretendere di entrare dalla porta principale. Questo l’hanno capito e il clima che c’è stato durante la lavorazione è stato perfetto perché nessuno è stato inoperoso. Tutti hanno amato il lavoro”.

Ma per lei cosa ha rappresentato questa esperienza?

“È stato per me un ritorno alla giovinezza quando facevo l’assistente, il segretario di edizione, l’aiuto regista. Io sono uscito da questo corto con un tale entusiasmo, una tale soddisfazione per i rapporti umani che si sono instaurati che ero pronto a farne un altro”.

Quest’anno lo stesso Bellocchio si è messo in campo per il corto.

“Io lo invidio molto, l’ho detto a Piergiorgio: “Guarda, se tuo padre decide di farlo lui, mi tiro indietro subito perché lui è il titolare della cattedra e ha diritto e dovere di fare in prima persona, ma se lui non vuole farlo e scegliete un altro sappiate che io mi arrabbio totalmente perché vorrei esserci io. Addirittura avevo pronto il soggetto, proprio perché le esperienze ti fanno capire le possibilità e i limiti di una cosa del genere”.

Un corto vive in un sistema di vincoli

“Cerco di insegnare come si possa raggiungere un traguardo rispettando determinati tempi e con un budget molto limitato. Ci sono tante regole: pochi ambienti, pochi personaggi e un’idea forte. Uno dei paletti era girare a Bobbio, anche se mi sono allargato e ho girato una notte a Piacenza. La lavorazione è durata 5 giorni e grazie alla mia migliore qualità, l’esperienza che ho accumulato nel tempo, sono riuscito a essere efficace. Non serve tanto sapere molte cose sulla storia del cinema, sui linguaggi, ma serve lavoro giornaliero dove hai la possibilità di sviluppare il problem solving applicato al cinema”.

Mentre probabilmente il suo lavoro al Centro Sperimentale sarà totalmente diverso

“Al Centro ho tre anni di tempo per portare i ragazzi a fare da soli. In questa stessa sezione ci sono due miei allievi, uno del primo anno che ha fatto un corto magnifico e un altro corto di diploma”.

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