Mostra del cinema di Venezia: Premio Siae a Marco Bellocchio
03 Settembre 2019 11:00
DALLA NOSTRA INVIATA A VENEZIA BARBARA BELZINI
L’abbiamo detto tante volte, il 2019 è l’anno di Marco Bellocchio, che con “Il traditore” sta raccogliendo enormi soddisfazioni e riconoscimenti. E proprio per celebrare ancora questo successo, ieri a Venezia, alla Villa degli Autori, gli è stato assegnato il Premio Siae: per l’occasione è stata fatta stampare su una lastra il deposito del soggetto de “I pugni in tasca”, per il quale il regista nel 1965 ha vinto il Nastro d’Argento.
“Pensate che ero così giovane che me la sono presa perché non avevo vinto io per miglior film e migliore regia, ma Pietrangeli per “Io la conoscevo bene”, ha commentato il regista ricevendo la targa.
Accompagnato da Andrea Purgatori e Giorgio Gosetti, Bellocchio ha poi dialogato lungamente con la platea intorno al tema del “tradimento”, parlando sia dell’ultimo film che di “Buongiorno, Notte” che di “Vincere”.
Il cinema di Bellocchio è tutto legato alla realtà italiana, e anche quando va nel passato lo fa per farci capire dove siamo: “Sembra un’ovvietà ma noi raccontiamo la nostra vita, quello in cui abbiamo creduto, quello che abbiamo vissuto anche in modo contraddittorio. Io ho sempre cercato di fare quello che credevo giusto, mai per fama è mai per soldi”.
Un primo tradimento sarebbe legato all’eccessiva empatia suscitata del personaggio di Buscetta: “É una figura tragica, disperata. Non è un eroe sicuramente, ma ha una sua dignità, ha coraggio, è un capo. Collaborava perché a sua volta era stato tradito: se Riina, anima malata e caso patologico, non avesse deciso di uccidere i suoi nemici fino alla ventesima generazione, inclusi i figli di Buscetta, forse avrebbe deciso di non collaborare. Se ne è uscito come criminale positivo sicuramente non era nelle mie intenzioni”. Si è parlato anche di riscrittura della storia per il film sul rapimento Moro: “La storia va rispettata perché si parla di persone realmente vissute, anche se per me è sempre necessario trovare sconfinamenti e libertà nel raccontare. Moro è libero perché mi sembrava bello immaginare che lo fosse: invece ila sua morte è stato l’inizio della crisi verticale del sistema dei partiti e del terrorismo. Non credo che solo perché uno ha 18 anni non lo capisca, dopo c’è il funerale, la musica, è chiaro quello che succede. Il tradimento per me è qualcosa di molto personale, un tradire la fiducia a livello sentimentale. Delle Br mi colpiva la loro disumanità e quindi la follia, il contrario di quello che dice Lo Cascio nel film, riprendendo Curcio, che la morte di Moro era il massimo dell’umanità. Quella era gente che uccideva poliziotti che passavano per strada, quasi per caso”.
A proposito di questo film, Bellocchio sta lavorando a una serie che si chiama “Esterno notte”, che parlerà appunto dell’esterno della tragedia: “Chi era assente nel film si vedrà. Diventano protagonisti Cossiga e Paolo VI. Dovrebbe iniziare con la strage e finire con l’assassinio”.
Si è parlato anche del cinema degli anni ‘70, della dimensione politica dell’epoca e della politica di oggi: “La mia indignazione di oggi è da privilegiato. Io non sono mai stato violento: quando presero il fatto che io buttassi mia madre nel burrone come un atto rivoluzionario, io volevo fare un film sul desiderio di affermazione del protagonista che viveva la famiglia come una prigione. Invece di andarsene come ho fatto io, lui ha buttato sua madre nel burrone. Negli anni ‘70 la politica era potente e noi rispondevamo a quello che sentivamo, il cinema era pesantemente coinvolto, e da quegli anni sono usciti film potentissimi, trasformativi”.
In chiusura abbiamo fatto qualche domanda al regista, a partire dai giovani e dalla dimensione educativa del cinema.
Anche in questi giorni al Festival, con “Martin Eden”, con “Adults in the Room” di Costa-Gavras, con “Il traditore”, abbiamo sentito dire tante volte che film come questi dovrebbero essere visti nelle scuole.
“So che proprio a Piacenza il preside del Melchiorre Gioia vuole fare una proiezione del film, e che si vuole trasversalmente portare il film nelle scuole. Sono disponibile a queste tipo di operazioni: se i presidi e i dirigenti scolastici sono interessati, non posso che esserne contento, perché è un film che, dato che io sono sempre molto interessato alla storia dell’Italia, potrebbe essere molto utile”.
Nei processi educativo-culturali, come quelli che portate avanti a Bobbio con i corsi della Fondazione Fare Cinema, c’è sempre una spinta nei confronti della cultura. Nell’insegnare un mestiere, soprattutto quello del cinema, c’è sempre un senso politico.
“Al senso politico non ci si pensa prima, viene da sé. Mentre in passato il messaggio dell’impegno politico era più diretto, adesso, proprio la politica si è così sbiadita, è così poco riconoscibile e individuabile per dei giovani. Sei politico nel momento in cui sei sincero, quando cerchi di prendere dei rischi, quando fai il tuo lavoro, quando fai dei sacrifici e non seguo la peggiore moda. In passato la politica era più esplicita e più riconoscibile, più visibile, adesso no”.
C’è un grande ritorno del cinema di genere adesso in Italia, soprattutto nella serialità, pensiamo ad esempio a Sollima (che sarà qui al Lido a presentare “Zerozerozero”) e anche “Il traditore” ha in sé degli elementi di genere, come li ha combinati con il lato drammatico e teatrale?
“Direi che è venuto da sé, nel senso che la vita di Buscetta era un genere, perché lui aveva vissuto tante esperienze, la galera, la droga, le uccisioni, i tradimenti, la famiglia. Il film nella sua unità diventa quasi un’opera lirica. La teatralità è la sua chiave, basti pensare al processo, ma anche in tutte le sequenze. Il genere è in fondo un po’ un limite, qui il risultato è stato diverso, molto più complesso”.
A proposito di azione, come avete fatto quella scena dell’elicottero così spettacolare?
“Questo è un film dove è stato fatto un certo uso di deformazioni digitali e la scena è stata girata in un campo di aviazione in Brasile, con l’elicottero a pochi metri da terra e poi si è creato il contorno con il cielo, l’oceano. In questo gli americani sono maestri, però ormai anche in Italia si è imparato la tecnica e ci sono operatori della posta produzione bravissimi. Anche per l’uccisione di Falcone, abbiamo prima girato tutti i piccoli movimenti degli attori e poi è stato fatto un lavoro di post”.
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