Il magistero e l’umiltà di Franco D’Andrea al “Nicolini” per il Piacenza Jazz Fest
24 Settembre 2021 18:26
Il ragno tesse la sua tela e all’ascoltatore ipnotizzato e complice non resta che lasciarsi avvolgere, rapire, interrogare sul magma in cui finisce per ritrovarsi sempre più immerso. Il ragno è Franco D’Andrea, la tela sono combinazioni di note estemporanee, un lungo discorso a braccio, una sonorizzazione in presa diretta dell’inconscio e della sua intera cultura musicale, delle possibilità offerte dalle infinite coincidenze tra ritmo, melodia e armonia.
E’ l’estrema sintesi dell’oscuro e luminoso, forse criptico ma inesorabile concerto che il grande pianista di Merano, padre vivente del jazz italiano e straordinario innovatore riconosciuto nel mondo, ha tenuto giovedì sera al Conservatorio “Nicolini”, secondo, notevolissimo “main concert” della 18° edizione del Piacenza Jazz Fest.
Se il “piano solo” è visionaria esplorazione, D’Andrea ha sondato innumerevoli combinazioni dei meandri della sua consistentissima produzione di compositore e della grande letteratura americana da lui più amata. A lasciare di stucco, stile e aplomb a parte, è il trasfigurare dei generi, delle forme, l’originalità identitaria delle costruzioni, l’equilibrio tra istinto e ragione, calcolo e sentimento, pacatezza ed energia.
E’ il mix che l’ha reso grande, anche come uomo e come testimone mai sazio, presente e tutt’ora prolificamente proiettato al futuro. Per i suoi ottant’anni compiuti l’8 marzo, la “festa” voluta dal Piacenza Jazz Club si era aperta nel pomeriggio con la presentazione in Conservatorio della sua recentissima biografia scritta da Flavio Caprera: “Franco D’Andrea – Un ritratto” (EDT). Un incontro prezioso, tra filosofia della musica, aneddoti e retroscena impagabili sulla storia e le storie del jazz italiano e internazionale degli ultimi 60 anni. A tu per tu con l’umiltà di un genio raro, un’occasione da ricordare.
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