Martedì al Municipale va in scena “Aspettando Godot” del maestro Terzopoulos
12 Gennaio 2024 09:41
Theodoros Terzopoulos, riconosciuto a livello internazionale fra i maestri del teatro del Novecento, dirige un cast d’eccezione – in cui spiccano Paolo Musio, Stefano Randisi, Enzo Vetrano – nel capolavoro di Samuel Beckett “Aspettando Godot”, in scena al Teatro Municipale di Piacenza martedì 16 gennaio alle 21.00 per il cartellone Altri Percorsi della stagione di prosa 2023/2024 (direzione artistica di Diego Maj) organizzata da Teatro Gioco Vita con Fondazione Teatri di Piacenza e il sostegno di Fondazione di Piacenza e Vigevano, Iren, Mic e Regione Emilia Romagna.
Terzopoulos, maestro della ricerca teatrale, il cui prestigioso e singolare metodo di regia e approccio drammaturgico viene insegnato in accademie teatrali, istituti e dipartimenti di studi classici in tutto il mondo, usa il testo di Beckett – uno tra i più celebri e misteriosi testi della scrittura del ‘900 – come lente per decifrare l’Altro. Chiama all’appello gli opposti: brama animalesca e tensione divina, pazzia e sogno, delirio e incubo. Uno spettacolo imperdibile che interroga la nostra stessa umanità.
La traduzione di “Aspettando Godot” è di Carlo Fruttero, regia, scene, luci e costumi di Terzopoulos, musiche originali di Panayiotis Velianitis. In scena Enzo Vetrano (Estragone), Stefano Randisi (Vladimiro) e Paolo Musio (Pozzo) affiancati dai promettenti giovani Giulio Germano Cervi e Rocco Ancarola. Lo spettacolo è prodotto da Emilia Romagna Teatro Ert/Teatro Nazionale e Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini in collaborazione con Attis Theatre Company.
Con la sua cifra stilistica Terzopoulos crea un vivo dialogo tra la contemporaneità e il dramma beckettiano, trattato come una lente per leggere e interpretare il presente, tra le sue profonde contraddizioni e le tragiche derive. Nella sua versione, la vicenda è ambientata in un mondo in rovina, in un futuro molto prossimo in cui tutte le ferite attuali e passate appaiono acuite. In questo contesto, si apre l’interrogativo su quali siano le condizioni minime per pensare a una vita che valga la pena di essere vissuta.
“I personaggi beckettiani – scrive il regista – si muovono in una zona grigia, in un paesaggio del nulla, quello dell’annientamento dei valori umani. Qualsiasi tentativo di umanizzazione cade nel vuoto, il concetto di tempo è fluido, i personaggi sono sospesi nel vuoto come esistenze espropriate, in un vuoto di disposizioni sconosciute dove l’annientamento di tutte le posizioni, dei valori e delle certezze, è stato realizzato. Il sarcasmo alla ricerca di una fine che non ha fine è l’espressione dominante degli esercizi di sopravvivenza dei personaggi. Essi cercano la fine della fine, che tuttavia non arriva mai. Ogni nuovo inizio è la definizione di una nuova fine. Pessimismo estremo. I personaggi tacciono aspettando la rivelazione dell’indicibile, che non si rivela mai. Alcune domande che riguardano la natura umana e il futuro forse avranno risposte, la maggior parte però no. Forse alcune di queste domande avranno risposte dagli stessi spettatori. Inoltre, l’arte del teatro esiste e persiste proprio in virtù delle domande senza risposta”.
Con una pratica che coniuga arte antica e moderna, Terzopoulos è noto per il suo originale approccio alla tragedia greca e ai testi classici, vere e proprie fonti per indagare questioni universali dell’essere umano: “abbiamo bisogno di grandi idee, di grandi tensioni, come quelle della tragedia classica: tra umano e divino, tra uomo e uomo, tra privato e pubblico. A vincere non è la buona recitazione o la regia, ma la forza del conflitto che portano sulla scena”.
“Tutto deve essere profondamente radicato nella tradizione, deve poter attraversare la realtà del presente ed essere indirizzato verso il futuro. Il riflesso dal futuro probabilmente potrebbe essere la realtà che desideriamo. Una realtà nuova”, ha dichiarato.
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