Schiavi a “Lo specchio”: “In ogni notizia, c’è un aspetto umano da preservare”
30 Aprile 2024 22:39
Nel cuore dei piacentini, alla scoperta di storie e suggestioni che costruiscono un destino, nel cuore di “Lo specchio di Piacenza”, programma settimanale di Telelibertà ideato e condotto dalla direttrice Nicoletta Bracchi. Nel quindicesimo episodio della serie al centro del racconto c’è il volto di Giangiacomo Schiavi, già capocronista e vicedirettore del “Corriere della Sera”, dove è editorialista e titolare della rubrica di lettere “Noi cittadini”.
LE ORIGINI DI GIANGIACOMO SCHIAVI
Le radici nella sua Gragnano, il paese natale. Il sogno della provincia, il sogno di bambino. “Enzo Biagi rifletteva sul concetto che non si ritorna mai veramente dove si è stati felici, ma io, al contrario – spiega Schiavi – desidero ritornare proprio dove ho trovato la mia felicità: a Piacenza, nella provincia, qui a Libertà, il luogo dove tutto ha avuto inizio. L’anima, inevitabilmente, ci spinge a tornare nei luoghi che hanno plasmato la nostra personalità, che ci hanno visti crescere, amare e imparare. Anche se cerchiamo di scappare, alla fine ritorniamo, perché quei luoghi hanno una parte di noi, fatta di ricordi, emozioni e legami indissolubili, che ci accompagnano per la vita”.
IL SUO FUTURO NASCE ALLE ELEMENTARI
Il suo futuro spunta improvvisamente tra i grembiulini di una classe elementare, tra le pagine di un diario che descriveva una passeggiata primaverile.
“La mia maestra per quel diario mi diede un bel 10 aggiungendo un “bravo il mio cronista”. E quella parola, cronista, diventò un piacevole refrain che mi accompagnò fino alle superiori quando scrissi un libro di poesie con cui vinsi il concorso città di Piacenza. Gli inizi a Libertà? Un traguardo irraggiungibile per un provinciale di Gragnano. Era il giornale, un mondo chiuso con 12 giornalisti, un miraggio, c’era l’odore della stampa. La mia prima intervista? Ad Achille Togliani, personaggio fascinoso e gentile. Avevo 21 anni, fu la mia prima “sigla”. Quando lasciai il quotidiano, Marcello Prati mi disse quasi profeticamente: “Si va via da qui per andare al Corriere, se lo ricordi”. In via Solferino ci arrivai nel 1987”.
L’UOMO E IL PROFESSIONISTA
L’uomo e il professionista, percorsi paralleli: “Per chi fa il nostro mestiere sono un tutt’uno. Un lavoro che ti porta fuori casa su una strada complessa, lontano dagli affetti, orari strani. Noi, i nottambuli e i musicisti. Quando ero qui a Piacenza uscivo dal giornale alle 2 del mattino e trovavo in giro solo gli orchestrali. Nelle pizzerie ancora a perte incrociavo ad esempio un musicista che ha fatto epoca in città come Silvano D’Angiò. La vita di cronista è condizionata da diverse variabili. Devi trovare una persona che stia accanto a te, che condivida e capisca i ritmi, le improvvise assenze e le chiamate. Il giornalista è un po’ come il medico condotto”.
la rivoluzione del giornalismo
Ecco, il giornalismo, le svolte e i criteri per individuare il profilo del buon reporter: “La rivoluzione del giornalismo è stata ridefinita dall’avvento di Internet. Le informazioni sfrecciano sulla rete, rendendo obsoleto il ruolo tradizionale del giornalista come unico portatore della notizia. Questo cambiamento ha portato a una trasformazione radicale nel modo in cui operiamo, ma i principi fondamentali rimangono saldi: la verità, l’onestà e il rispetto per il lettore. Dietro ogni notizia, c’è un aspetto umano da preservare”. La notizia, appunto, può anche mostrare il suo lato migliore, uno spirito buono che alleggia ma che fatica a mettere il capo in superficie.
“ANDARE SUL CAMPO A VEDERE”
“La mia filosofia si basa sull’andare sul campo, vedere con i propri occhi, ma anche sulla capacità di fidarsi delle fonti autorevoli. Tuttavia, è naturale avere dei dubbi, specialmente quando si tratta delle implicazioni umane di una storia. La mia battaglia per portare alla luce le buone notizie? In realtà non fa notizia solo il Male anche il Bene è affascinante ma spesso è disperso e va cercato. Sono le storie che rendono il giornalismo un mestiere avvincente”.
RITORNO ALLE ORIGINI
La narrazione si indirizza ancora verso la Gragnano della giovinezza, le partite a calcio con Sergio Giglio e Stefano Brandazza, oggi imprenditori, il “piccolo Maracanà” come una fiaba di paese che guardava l’infinto, il ricordo del padre: “Faceva l’operatore al Cinema Paradiso, proiezioni al martedì, giovedì sabato e domenica, ora sta rinascendo come centro culturale. Una buona notizia”. E poi Piacenza dove “si cammina nella Storia, ma dopo gli anni magici della serie A si è un po’ lasciata andare”.
Nella mappa ideale di Giangiacomo c’è spazio anche per Bobbio: “«Un luogo straordinario, ho detto spesso che lì si potrebbe creare qualcosa di grande. Pensavo ad un’università della montagna, da una idea di Maria Corti filologa dell’Università di Pavia. Un ritorno alle luci del medioevo di Colombano”.
RICORDI INCROCIATI
I ricordi si incrociano da Dino Buzzati ad Ambrogio Fogar, da Gigi Rizzi alla rinascita della rivista “Città” (“Un giornale da tavolo, bellissimo da leggere e guardare, due numeri all’anno”). Nel 2007 per il suo viaggio-inchiesta in camper attraverso le periferie di Milano ha vinto l’Ambrogino d’Oro: “«Esploravamo la Milano fuori dai luoghi comuni, abbiamo incontrato i primi rapper, letto e riletto una realtà oscura e clandestina. Abbiamo trovato un orgoglio identitario e una voglia di reagire, soprattutto nei giovani: nessuno era rassegnato al peggio. In fondo, essere giornalisti significa anche avere la consapevolezza di poter fare la differenza, di poter contribuire a migliorare la vita degli altri attraverso il potere delle parole. Leggo i quotidiani dalla prima all’ultima pagina, anzi dall’ultima, quella delle Lettere come ricorre in uno splendido libro, “Istanbul”, di Orhan Pamuk”.
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