Il successo di Baliani a XNL, nel dialogo con un tempo dove “Gli dei erano tanti”

27 Giugno 2024 02:44

Una voce che narra storie e rende visibile l’invisibile. E’ quella di Marco Baliani, un pezzo di storia della scena culturale italiana, tra i fondatori del teatro di narrazione. “Quando gli dei erano tanti” è il suo nuovo lavoro, che ha debuttato in prima nazionale a XNL Piacenza, martedì, per il Festival del teatro antico di Veleia. Essendo impraticabile l’area in collina dopo le forti piogge, il numeroso pubblico ha riempito il Centro nel cuore della città, per porsi in trepidante ascolto di quella voce sola, moltiplicata in tante voci.

lo spettacolo

Baliani ci riconduce ad un tempo in cui gli dei e i mortali si desideravano, in cui morte e vita erano contigui, in cui l’ascolto era al centro della vita della polis, in cui l’oralità garantiva “un ventaglio di possibilità”. Un tempo precedente all’avvento della téchne, dell’alfabeto e della scrittura.
La sedia sulla quale si è messo a nudo di fronte agli ascoltatori, è un posto che gli è congeniale e familiare, sebbene sia al tempo stesso un posto scomodo, perché quello che ci offre non è un testo scritto da altri, ma un testo che gli appartiene. Che lo riguarda e ci riguarda. E in questo consiste la sua autenticità. È un testo destinato a mutare grazie al racconto orale, mai uguale a se stesso. E così mentre noi ascoltiamo Baliani, lui ascolta noi. Con uno sguardo di antropologo, Baliani ci riporta al tempo in cui eravamo un tutt’uno con la natura: nelle creature bestiali come Tifone, nel predatore che diventa preda come Atteone. Tra gli uomini, il profugo era ospitato e ascoltato. Come Cadmo, il fenicio, lo straniero, che sposa una dea respinta dall’Olimpo perché frutto di un amore illecito. Due esclusi che finiscono la loro vita da esuli e poi divengono serpenti. Oggi – come suggerisce Baliani – viviamo invece nell’epoca del disincanto materico. Il desiderio diventa acquistabile, il nuovo dio è il profitto, la natura non canta e non incanta più, il sacro sparisce. La voce di questo aedo contemporaneo riporta alla luce il mistero. Lo svela attraverso la parola. Tra pubblico e narratore non c’è separazione: respiriamo con lui, con lui ci eccitiamo, ci spaventiamo, ci sentiamo fragili e incerti, nelle nostre vite a scadenza.

L’ARTICOLO DI DONATA MENEGHELLI
FOTOGRAFIE DI GIANFRANCO NEGRI 

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