Il piacentino Mario Silva alla maratona di Boston: “Siamo scossi”
16 Aprile 2013 16:30
E’ una delle maratone storiche e il simbolo della città di Boston. Tra gli spettatori c’era anche il piacentino Mario Silva, 30 anni di Fiorenzuola. Si trova a Boston da diversi mesi e lavora alla Scuola di Specializzazione in Radiodiagnostica. Domenica aveva pubblicato sul social network le foto della città allestita per l’evento sportivo. Da questa notte gli amici hanno tempestato la sua bacheca con la richiesta di informazioni sulle sue condizioni. E’ stato lui stesso a rassicurare tutti quanti scrivendo “Sto bene ero parecchio lontano dall’arrivo”. Era al 23esimo miglio quando al traguardo è scoppiato l’inferno. Due bombe hanno ucciso tre persone tra le quali un bambino di 8 anni e ferito oltre 130 persone, alcune sono in pericolo di vita. Le indagini spaziano tra la matrice islamica e la pista interna legata all’estrema destra. Il Paese è sotto choc e ha innalzato le misure di sicurezza.
Mario ci scrive: “L’atmosfera a Boston è cambiata radicalmente da ieri pomeriggio. Ho appreso la notizia mentre ero con amici al miglio 23. La notizia dell’attentato ha subito scosso tutti, maratoneti e spettatori. L’atmosfera di festa è svanita in pochi istanti. In 30 minuti tutti i maratoneti sono stati fermati, i bar chiusi e gli spettatori invitati a tornare alle proprie case”.
Valeria Ferrari, 25 anni di Fiorenzuola è tornata a casa dopo diversi mesi trascorsi a Boston per preparare la tesi di ingegneria biomedica sul sonno. Sonno che nella notte ha perso completamente per cercare informazioni sui suoi amici. “Sono sconvolta – ci ha raccontato telefonicamente. La maratona è il simbolo della città”.
Abbiamo raccolto anche le testimonianze di alcuni studenti dell’università Cattolica di Piacenza impegnati a Boston nel programma internazionale Double degree.
Valentina Sciarmella, 22 anni. “Ieri alle 14.50 stavo tornando al campus dell’universita’ da un colloquio, quando inizio a sentire la gente intorno a me parlare di bombe alla maratona. All’inizio pensavo fosse uno scherzo, anche se vedevo in giro molta gente spaesata tentavo di rimanere tranquilla. Non sapendo esattamente cosa stesse succedendo e dove stesse succedendo, mi sono incamminata verso l’universita’ a piedi (le metro erano bloccate) con l’idea di passare per Copley Square. Piu’ mi avvicinavo piu mi accorgevo che non si trattava di uno scherzo. C’era polizia ovunque, gente che urlava e piangeva, elicotteri, pompieri, auto blindate. Una volta capito che non potevo tornare a casa seguendo la solita via ho tentato di prendere un altra strada, anche se ovunque c’era polizia, soccorsi, pompieri e ambulanze. E’ stata un esperienza davvero terribile”.
Michele Bellini, 21 anni: “Ieri pomeriggio mi trovavo nella biblioteca di Northeastern university quando la notizia ha iniziato a diffondersi. La prima reazione, oltre a quella di preoccupazione generale, è stata quella di assicurarmi che gli amici che sapevo essere alla maratona stessero bene. Devo dire che quella è stata la fase più angosciante. Poi con il passare del tempo si è diffusa una sensazione generale di caos. Giustamente dall’Italia, i parenti e gli amici hanno iniziato a intasare i nostri cellulari; l’università Northeastern ha iniziato a diramare messaggi di sicurezza avvertendoci di rimanere a casa o nel campus e di non recarci sui luoghi degli incidenti, che tra l’altro sono molto vicini a dove studiamo e viviamo noi. Dopo l’accaduto sono iniziati ingenti spiegamenti di forze. La città si è riempita di polizia; sirene in continuazione; elicotteri in cielo. Paradossalmente tutto questo ha aumentato il clima di agitazione e di incertezza. Lo shock è stato forte e tuttora lo è. Si cerca di capire e di dare un senso a quanto è successo, ma resta comunque difficile”.
Laura D’Alimonte, 20 anni: ” Non ero alla maratona ma ero a pranzo quando io e i miei amici abbiamo saputo dell’accaduto. Davanti a quello che abbiamo sentito subito abbiamo cercato di dare spiegazioni razionali come se potessero riempire il vuoto che si prova davanti a qualcosa del genere, come se non volessimo essere toccati, coinvolti. Sono modense e quindi ho visto cio’ che il terremoto porto’ l’estate scorsa. La situazione e’ diversa ma cio’ che provi é lo stesso. Come scrisse un mio amico per il terremoto “si fa esperienza della fine”. Qui sembra che questo fatto abbia riportato la gente ad essere piú umana, non solo fissata sul lavoro e la frenesia delle giornate. Mia cugina da New York scrive che la gente é piú rispettosa e paziente. Spero che questo fatto insegni qualcosa a tutti, me in primis e non sia solo un sentimento temporaneo”.
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