Dalla Savana al Karamoja con Africa Mission: diario africano di Betty Paraboschi
25 Novembre 2019 04:17
Prosegue il viaggio di operatori e volontari di Africa Mission partiti sabato 16 novembre per l’Uganda in missione benefica. Con loro, anche alcuni studiosi dell’università Cattolica di Piacenza. Lo scopo del viaggio è quello di supervisionare i numerosi progetti che l’associazione sta portando avanti in Karamoja, ma anche celebrare il venticinquesimo anniversario della morte di don Vittorio Pastori, che nel 1972 fondò il movimento Africa Mission nella città di Piacenza.
Della comitiva fa parte anche la giornalista di Libertà Betty Paraboschi che dall’Uganda sta scrivendo un diario di viaggio.
25 NOVEMBRE – Ci sono tre cose che distinguono una messa karimojon da una messa “normale”: la prima è la durata della liturgia che si allunga fin quasi a tre ore. Si arriva alle dieci e mezza in chiesa e prima delle tredici è difficile uscire. La seconda caratteristica è la lingua: il karimojon si parla e (quasi) non si scrive, è pieno di vocali e di erre e risulta assolutamente incomprensibile. La terza caratteristica è il senso profondo di comunità che si crea attraverso un rito e che risulta evidente a tutti.
La spiritualità c’entra fin lì: in ballo c’è un senso di comunanza, la consapevolezza che qui da soli non si va da nessuna parte. Non ci si muove in solitudine ed è una delle prime cose che ho imparato venendo in Africa: che sia clan o tribù o famiglia non c’entra, conta riconoscersi in un insieme. In una messa karimojon il riconoscimento avviene attraverso gli abiti a fantasia, la lingua a volte spigolosa e a volte liquida della celebrazione, i canti continui intervallati da fischi fortissimi: è riconoscersi che fa sentire più sicuri, più tranquilli in una terra in cui il più delle volte il caso sembra l’assoluto padrone della storia. In cui l’essere gruppo stranamente non spaventa neppure me.
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