“Paura, sofferenza e ignoto”: Lara racconta il 21 febbraio al Pronto soccorso di Codogno

29 Gennaio 2021 00:05

 

“Gli occhi lucidi, e non per il dolore, ma perché dopo quel turno il 21 febbraio a Codogno, vedo una speranza”: è questo il pensiero scritto su Facebook dall’infermiera Lara Villa a corredo della foto scattata il giorno della vaccinazione anti Covid.
Abbiamo contattato la trentenne piacentina per farci raccontare il 21 febbraio 2020, il giorno che ha cambiato il mondo, nel luogo in cui tutto è partito: il Pronto soccorso dell’ospedale di Codogno.

Cosa ricorda di quella mattina?
“Io lavoro all’ospedale di Lodi ma in quei giorni stavo facendo dei turni al Pronto soccorso di Codogno e la mattina del 21 febbraio, mentre ero in auto, mi ha chiamato un collega per avvisarmi della scoperta del Paziente 1 quella notte. Il viaggio verso Codogno è durato una vita. Ho chiamato subito mia mamma e il mio compagno e all’arrivo in Pronto soccorso mi tremavano le gambe. Subito mi sono state fornite alcune indicazioni dai nostri dirigenti e mi sono stati consegnati i dispositivi di sicurezza. Da quel momento la paura è sparita, come se mascherina e guanti avessero creato una corazza. In Pronto soccorso c’era un altro paziente sospetto Covid che poi è diventato il Paziente 2. Era un ragazzo giovane e si vedeva che stava male. Il primario mi ha chiesto di cambiargli la mascherina dell’ossigeno, una cosa che faccio molte volte in ogni turno, ma quella volta è stato il mio primo incontro con la patologia. Ero di fronte alla sofferenza e all’ignoto”.

Poche ore dopo il Pronto soccorso di Codogno è stato chiuso
“Si, ho proseguito i turni al Pronto soccorso dell’ospedale di Lodi. Arrivavano 80/100 persone al giorno. Ma nonostante tutto c’era un’ottima organizzazione tra noi colleghi e con i pazienti si è instaurato un rapporto di collaborazione che contrasta quanto eravamo abituati a vivere in Pronto soccorso quando le persone in attesa si innervosivano. In quel periodo era tutto diverso, i pazienti si aiutavano tra di loro quando vedevano che la situazione di qualcuno stava peggiorando e ci chiamavano con gentilezza per chiedere aiuto. Questo spirito di collaborazione è ciò che mi è rimasto impresso di quei mesi e mi fa pensare che, se siamo stati uniti nella sfortuna e nella sofferenza, forse una speranza per il futuro c’è”.

Lo spirito di collaborazione c’è ancora?
“Sì, è rimasto”

E di quel periodo cosa è rimasto?
“Quello che abbiamo provato ci ha fatto crescere e ci ha cambiato. Per chi non ha visto quello che succedeva in ospedale è difficile rendersi conto ma vorrei che testimonianze come questa potessero far capire che le limitazioni sono necessarie per evitare che tutta quella sofferenza succeda di nuovo”

Com’è adesso la situazione?
“Indossare i dispositivi e toglierli ogni volta rispettando le norme di sicurezza è diventato la normalità, ed è una cosa che all’inizio era impensabile. La situazione attualmente è più tranquilla ma il virus c’è e quindi dobbiamo sempre tenere alta la guardia”

Cosa spera per il futuro?
“In generale di poter tornare alla normalità e personalmente (si commuove) spero di poter riabbracciare al più presto mia mamma e i miei nonni. Non li vedo da tempo perché lavorando in un luogo dove ci sono pazienti Covid preferisco sentirli al telefono ma non vedo l’ora di vederli di persona”.

Dopo questa esperienza è convinta della professione che ha scelto?
“Non la cambierei per niente al mondo”.

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