“Nell’emergenza ho dormito 40 notti in reparto. Non volevo lasciare soli i miei infermieri”
26 Febbraio 2021 00:04
Quando si parla di abnegazione degli operatori sanitari durante la pandemia, tra i tanti esempi, c’è anche quello di Flora Fregata, coordinatrice infermieristica della Terapia intensiva di Piacenza. Un reparto fino ad allora poco conosciuto ma salito tristemente alla ribalta delle cronache a causa del Covid. E’ lì che la piacentina, originaria di San Giorgio, ha dormito per 40 notti senza mai andare a casa.
Torniamo a questo periodo dello scorso anno, cosa ricorda?
Ricordo la chiamata del mio primario all’una di notte. C’era un paziente Covid positivo, ho passato la notte al telefono con gli infermieri e alle 6 sono arrivata in ospedale per fare il tampone. Tutti abbiamo deciso di restare lì dentro fino all’esito del test, che è risultato negativo. Non eravamo spaventati ma smarriti perchè era una patologia che non conoscevamo. Tra noi si è subito creato un gruppo molto unito, tutti hanno fatto i doppi turni con grande dedizione.
Come mai lei ha deciso di non andare a casa per 40 giorni?
Non volevo lasciare i miei infermieri da soli, li dovevo sostenere. Ad ora riorganizzavamo il reparto. Ricoveravamo 15 persone al giorno e dovevamo trasferire i pazienti negativi
Quaranta giorni a contatto continuo con la sofferenza senza mai staccare, come è riuscita a resistere?
Per me è stato naturale. Lavoro lì dentro da 30 anni, è impossibile non portare il lavoro a casa e viceversa. Ero stanca fisicamente ma non mentalmente. Per me è normale mettere le gambe in spalla e andare, sono fatta così e ripensandoci non potevo proprio andare a casa. Vorrei ringraziare il direttore generale Luca Baldino perché durante i giorni più critici passava a trovarci così come il direttore assistenziale Mirella Gubellini, non ci hanno mai fatto mancare il loro sostegno.
Cosa le è rimasto di quel periodo?
Ancora adesso dormo sul divano, e poi…(si commuove)…ricordo la sofferenza dei pazienti quando arrivavano, la mancanza d’aria, la paura di non farcela. Ricordo quando chiamavamo i parenti per dire che il loro caro non ce l’aveva fatta, ci preoccupavamo di sapere se erano a casa da soli e se c’era qualcuno che li poteva aiutare. Quando arrivava in reparto qualcuno del mio paese chiamavo le mie amiche per chiedere loro di andare a vedere come stavano i familiari e sapere se avevano bisogno di qualcosa. Noi sappiamo che tante persone che entrano nel nostro reparto non ce la fanno ma la medicina non è matematica e noi facciamo sempre di tutto e del nostro meglio per salvarli.
La sua famiglia come l’ha presa?
I miei genitori sono anziani, dovevo tutelare anche loro. Mia mamma mi mandava il cibo e i cambi in ospedale tramite mia sorella. Mio figlio mi ha supportata, facevo videochiamate con i miei nipoti. Ho avuto l’appoggio di tutti i miei familiari e ora finalmente con il vaccino li posso vedere con più tranquillità.
Le è capitato di incontrare fuori dalla Terapia intensiva qualcuno dei pazienti che ce l’ha fatta?
Alcuni li sentiamo perché ci mandano messaggi e foto per dire che stanno bene. Un mio paziente lavora in un negozio e lo sono andata a trovare. In generale ci ringraziano e dicono che si sono sentiti supportati.
Oggi com’è la situazione?
Non vedo ancora la luce, abbiamo ancora pazienti Covid, anche nella scorsa ondata siamo stati gli ultimi a finire perché la patologia comporta tempi lunghi di cura. Ma non vedo la luce nemmeno quando vado a casa perché in giro noto comportamenti inadeguati e irrispettosi, sembra che a Piacenza non ci siano stati più di millecinquecento morti. Questo fa male, non perchè noi dobbiamo lavorare di più, siamo abituati, quello non è un problema. Il problema è che non c’è rispetto in generale.
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