Denunce di violenza, Donatella Scardi: “Ritirarle fa perdere credibilità”
16 Febbraio 2022 06:01
“Purtroppo accade che la donna che ha denunciato una violenza domestica poi ritiri la denuncia. E questo fa perdere credibilità”. Donatella Scardi, presidente del Centro antiviolenza “La città delle donne”, commenta così l’assoluzione di un 35enne accusato di avere picchiato la moglie brasiliana nell’arco di una decina d’anni perché “il fatto non sussiste”: l’avvocato difensore Arianna Maggi aveva evidenziato che la moglie si era trasferita in Sudamerica, mentre il marito era rimasto a Piacenza, e aveva ritirato la querela per minacce.” Premesso che non entro nel merito di una sentenza che non conosco – ci tiene a sottolineare Scardi che è anche avvocato -, ma occorre capire il contesto della violenza domestica nella quale una donna si trova a fare denuncia. Accade che una persona che subisce violenza immediatamente denunci chi gliel’ha fatta e poi ritiri la denuncia: questo però purtroppo fa perdere credibilità”. Alla luce di questo, uno degli obiettivi del centro antiviolenza è proprio quello di “instradare le donne verso un percorso di informazione”: “La denuncia va fatta con consapevolezza – spiega Scardi – prima di farla, la donna deve conoscere l’iter, deve essere individuato un percorso perché solo in questo modo non abbiamo il rischio di avere denunce che poi vengono ritirate. Fra l’altro bisogna uscire dalla logica vittimistica: la donna che subisce violenza non è malata o non in grado di capire, ma vive un momento di difficoltà”. Una difficoltà che tuttavia ha dei confini non sempre facili da qualificare anche per un giudice. Lo spiega bene l’avvocato Antonella Fiorani: “Pur non entrando nel merito della questione che non conosco, certo è che in un processo per maltrattamenti in famiglia il giudice è chiamato a un compito non facile, valutando le prove che si sono formate durante il dibattimento – spiega – il reato si configura qualora sia dimostrata la “sistematicità” di atti di violenza fisica o morale, anche se intervallati da comportamenti “normali” o da attività familiari gratificanti per la persona offesa. Il giudice deve valutare se appunto ci sia una ripetizione sistematica in un determinato periodo di tempo, anche breve, di tali comportamenti che non sono sempre punibili se considerati isolatamente: una ripetizione che determina quel sistema di vita persecutorio, mortificante e insostenibile per la persona offesa. Persona offesa che non è sempre necessariamente la compagna o moglie dell’imputato, ma possono essere molteplici così come l’imputato non è sempre necessariamente un uomo”
© Copyright 2024 Editoriale Libertà
NOTIZIE CORRELATE