Due anni fa il “paziente 1”: “Pensavamo a pochi casi, fu una tempesta”

20 Febbraio 2022 00:01

Sono trascorsi 24 mesi dal 20 febbraio 2020, vigilia del paziente uno di Codogno e della pandemia, costata finora 1.719 vite. Fino al giorno 20 febbraio 2020 i protocolli di presa in carico di pazienti Covid positivi – documenti esistenti – erano stati tagliati sulle sagome di carta. Esercizi virtuali, più che altro.

“Ci saremmo aspettati – confessa il dottor Andrea Magnacavallo, primario della Medicina d’urgenza e da qualche giorno direttore sanitario dell’Ausl di Piacenza – che, nel caso il virus si fosse diffuso anche in Italia, avremmo visto uno, due, o pochi pazienti. E che questi stessi pazienti avrebbero avuto scritto in fronte “arrivo dalla Cina”, con sintomi di un certo tipo. A quello noi ci eravamo preparati”.

E invece, già prima del paziente 1 di Codogno, la cui positività venne accertata il 21 febbraio, già a fine gennaio, “o forse anche prima, sempre gennaio”, il Coronavirus circolava sottotraccia. Il 20 febbraio, in Pronto soccorso a Piacenza, fu l’ultimo giorno di frenetica normalità. Incidenti d’auto, traumi, infarti, gestanti prossime al parto. Il giorno seguente, quando si diffuse la notizia del paziente di Codogno, il Pronto soccorso di Piacenza visse 48 ore surreali.

“Forse la paura vinse in quelle ore – ricorda Magnacavallo – e non ricevemmo quasi pazienti. Fu la quiete prima della tempesta, che sarebbe esplosa e proseguita fino a marzo e oltre. Arrivammo ad avere 160 pazienti sulle barelle, ricorremmo anche alle barelle militari”.

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