Vezimo, la strage di Pippo e l’oste che sceglie di aprire qui la sua locanda ogni giorno
04 Dicembre 2023 05:00
La vita di Gino Zuffi è la vita di Vezimo, una resistenza naturale. La locanda che fu del nonno e del papà è aperta 365 giorni all’anno, nel paese delle bombe dove è come se l’oste ogni giorno apparecchiasse la tavola non solo per turisti e motociclisti ma anche per quei 33 giovani morti la notte tra il 20 e il 21 agosto 1944, alle 00.35, ormai quasi ottant’anni fa.
Si tramanda tra questi monti a mille metri in Valboreca che la “Vedova nera” passò quattro volte nel cielo prima di sganciare sette bombe da mezza tonnellata l’una il giorno del patrono San Bernardo e mettere la firma su una delle stragi più cruente del Nord Italia, coda tremenda di quella guerra psicologica attuata dalle forze statunitensi durante la Liberazione con azione di disturbo della popolazione perché non fosse di supporto al regime.
“In tutto il paese c’era solo un mulo. Con quello vennero trasportati i feriti. Corsero anche dagli altri paesi per aiutarci, ma da Pej serve un’ora di cammino. Da Zerba quasi altrettanto”, spiega Gino, che al tempo aveva un anno. Il papà, Carlo Zuffi, era tornato da poco dall’America, dove aveva lavorato nel ristorante più importante di New York.
Tra le testimonianze anche quella di Ines Marenzi, che nel ’44 aveva 7 anni: “Anche mio fratello venne colpito al cuore. Si chiamava Arturo. Ho chiamato così mio figlio, come lui, che aveva solo 18 anni ed era tornato da Milano, dove lavorava come autista, perché la guerra là faceva paura. Pensavamo che qui sarebbe stato al sicuro. Quanto ci sbagliavamo”.
Per ricordare la strage di Vezimo del 1944, una strage di bambini e contadini, si lavora a un libro e chiunque abbia segnalazione può farsi avanti. Sono infatti gli stessi cittadini a voler celebrare nel 2024 gli ottant’anni dal bombardamento con una pubblicazione il cui ricavato sosterrà il paese per la sua valorizzazione.
L’ARTICOLO DI ELISA MALACALZA SU LIBERTÀ
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