Luciana Laudi e i suoi occhi nella Shoah. Lo zio eroe, e quella tomba nella medaglia

23 Gennaio 2024 06:00

“Per ogni sopravvissuto c’è qualcuno che lo ha aiutato. Per ogni deportato c’è stato qualcuno che l’ha denunciato. Io mi chiamo Luciana Laudi, sono nata il 3 settembre 1938. Quel giorno i giornali annunciarono a grandi caratteri che i figli di ebrei, come noi, e tutti gli insegnanti ebrei dovevano essere esclusi per decreto ad ogni costo dalla scuola”.

Luciana ha il coraggio di chi, a quasi 86 anni, sa raccontare agli studenti di seconda e terza media di Bobbio cosa voglia dire scegliere da che parte stare, e cosa significhi farlo sulla propria pelle. Lo ha fatto ieri mattina nell’auditorium in piazza Santa Chiara, accompagnata da Romano Repetti e Gianfranco Rossi di Anpi.

Gli occhi di Luciana sono quelli di una bimba nella Shoah, gli stessi occhi di suo zio Rinaldo Laudi, il medico chirurgo espulso in seguito alle leggi razziali dall’Ospedale Mauriziano di Torino e accolto a Piacenza sotto copertura nella clinica Lodigiani del professor Arnaldo Vecchi; nel gennaio del ’44 si unì ai partigiani assumendo la direzione dei servizi sanitari nella prima Divisione Piacenza.

Nome di battaglia Dino, diventò punto di riferimento per i partigiani e i civili feriti, che venivano da lui curati gratuitamente, sia all’ospedale di Bobbio quando venne liberato dai partigiani che al preventorio di Bramaiano a Bettola. Il suo corpo non fu mai ritrovato dopo essere stato catturato.

“Per me la sua tomba è quella Medaglia d’oro al Merito conferita dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano“, spiega commossa Luciana, che, instancabile, venerdì incontrerà anche gli studenti di Pianello per spiegare anche il suo ultimo libro, “Bello come il sale, buono come il pane” dedicato alla sua famiglia.

L’ARTICOLO DI ELISA MALACALZA SU LIBERTÀ

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