Costretta a prostituirsi a 15 anni con l’inganno: “Sono uscita dall’orrore della tratta”

14 Ottobre 2024 05:30

Gli uffici di via Taverna

Si chiama Blessing. Benedizione. Ma nella sua vita, di benedetto, ha avuto solo la sua forza e nient’altro. È seduta al tavolo di una delle sale riunioni degli uffici dei servizi sociali di via Taverna. È arrivata con il pullman, pur di provare a raccontarsi in vista della Giornata contro la tratta di esseri umani del 18 ottobre. “Magari può essere di aiuto e speranza per altre. Altre com’ero io”, spiega.

Aveva solo undici anni quando, nel suo villaggio in Nigeria diventato una specie di hub per la ricerca di prostituzione minorile, tornava dal laboratorio di sartoria dove stava imparando a cucire. Quelle belve le sono saltate addosso. Quel giorno Blessing è morta per la prima volta, prima di capire che dentro di lei stavano crescendo due bambini, un maschio e una femmina, in lei che era a sua volta bambina e non sapeva come fosse fatto un banco di scuola.

Quando la pancia di Blessing ha iniziato a vedersi la gente l’ha presa di mira. Era incinta a causa di uno stupro del branco e veniva insultata per strada. La mamma l’ha tenuta a casa, allora, per proteggerla. Solo quando sono venuti al mondo i suoi figli, Blessing, senza pancia, è tornata alla scuola di sartoria.

“Che brava che sei”, “Qui sei sprecata”, “Quanto guadagni?”, ha iniziato a chiederle un cliente elegante, che ogni giorno portava vestiti da riparare, bei vestiti che erano trappole mortali. “Mi ha detto che voleva io lavorassi in una sua catena di negozi di abbigliamento, in Europa. Ha insistito, è tornato più volte. Ha chiesto anche di poter parlare a mia mamma”, ricorda Blessing. “Ci ha mostrato documenti, ci ha fatto parlare con suoi amici pronti a giurare che era tutto vero”.

Non era vero niente, era l’inferno travestito da miraggio.

Blessing non ha neanche 15 anni e si ritrova su un pullman, stipata tra altre ragazze. La prima tappa è da uno stregone del culto juju, la religione tradizionale: è qui che viene costretta a giurare e a subire il rito voodoo. È un nodo intorno al suo collo: “Dovevo ripagare il debito di quel viaggio verso l’Europa, altrimenti avrebbero ucciso la mia famiglia”.

Nell’orrore della Libia si ferma alcuni mesi, fino a quando un giorno arriva la notizia: può partire sul “lapalapa”, il gommone diretto a Lampedusa, Italia. “Non avevo alcun documento e non guidava nessuno. Facevamo a turno, ci si dava il cambio. C’erano tanti bambini, donne incinta. Eravamo 200 su un gommone”, racconta Blessing.

Blessing, arrivata a terra, ha con sé solo un numero di telefono che il trafficante le ha dato: lei ancora crede di andare a lavorare in un negozio di abbigliamento. A quel numero, che contatta dal campo profughi, qualcuno risponde davvero: le dà indicazioni, dove prendere il treno, come fare. Arriva in Austria, in quella che le sembra l’altra parte del mondo. L’uomo che la va a prendere non ha né famiglia né negozi. “La sensazione di impotenza è stata indescrivibile. Mi è stato detto che dovevo ripagare il mio debito, pari a 40mila euro, e che per farlo mi aspettava la strada, la prostituzione. Anche se ero minorenne”.

Che Blessing è minorenne, ovviamente, non si deve sapere: ai clienti, che finito di usarla come uno straccio indossano la cravatta, deve dire che ha più di 18 anni. Ma tanto nessuno le chiede chi sia, se stia bene. Blessing, intanto, sulla strada parla alle altre ragazze: capisce che può provare a scappare, trova un contatto, ce la fa. Arriva a Parma, poi a Piacenza. Qui Blessing tira il fiato, conosce “Oltre la strada”, che intercetta la sua storia di dolore e umiliazione. Oggi vive con suo marito e suo figlio in provincia.

“Non è facile uscire dalla strada, dai ricatti, dalle violenze, dalle minacce, dai tuoi stessi fantasmi che ti inseguono”, spiega. “Ma ci si può rivolgere alle forze dell’ordine, alle associazioni. Ci sono soluzioni. Mi sono dovuta ricostruire, proprio a partire dalla fiducia in me stessa. Ancora oggi ho gli incubi e nell’incubo ci sono ancora tantissime donne. Bambine obbligate a dire di essere donne”.

In un anno “Oltre la strada” ha aiutato 50 donne a Piacenza perché entrassero in un progetto di 18 mesi che punta a sicurezza, alfabetizzazione, autonomia, aiuto psicologico. “Ma è solo la punta dell’iceberg”, dice chi ogni sera va sulla strada per salvarle. Per provare a salvarle.

L’ARTICOLO DI ELISA MALACALZA SU LIBERTÀ

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