La vittoria di Trump nell’analisi della giornalista piacentina Elena Molinari

08 Novembre 2024 17:34

A due giorni dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni americane abbiamo contattato la giornalista Elena Molinari, piacentina di origini, da oltre 20 anni corrispondente dell’Avvenire dagli Stati Uniti. Molinari fu la prima giornalista italiana a intervistare Barack Obama alla Casa Bianca nel 2009.

“Io sono in Arizona in questo momento, a Phoenix, uno Stato andato a Trump mentre quattro anni fa era stato preso da Biden in maggioranza, quindi qui c’è un’atmosfera di soddisfazione. Sono in una zona abbastanza popolare, con una classe lavoratrice che sicuramente ha votato più per Trump. C’è sollievo perchè si temevano disordini che però non ci sono stati e c’è anche un pochino di apprensione su quello che succederà, non tanto per la paura di una dittatura, ma più per la paura di un Paese spaccato in due, in cui non tutti si riconoscono nel nuovo presidente, e che ci siano poi problemi nel ritornare a riconoscersi come americani con lo stesso leader”.

Cosa ha davvero fatto la differenza e ha portato Trump alla vittoria?

“Demograficamente ci sono gruppi che tradizionalmente erano più democratici e che si sono spostati molto visibilmente verso i repubblicani, ma in modo particolare verso di lui, non solo come partito. Un gruppo che si conosceva già sono gli operai, che si erano allontanati dal partito democratico che storicamente era il partito della classe lavoratrice. Già da qualche elezione abbiamo visto che andavano più verso Trump perchè non si riconoscono più nel partito democratico. Quest’anno abbiamo visto anche molti latinos e in parte anche i neri, due serbatoi tradizionalmente democratici, che hanno perso anche loro questo senso di identificazione con la sinistra che, a mio dire, non ha saputo cogliere il malcontento e i bisogni di questi gruppi, soprattutto i bisogni di base. Sono persone molto colpite dalla pandemia, dall’inflazione e anche dall’immigrazione, che è stata molto consistente negli ultimi quattro anni”.

Harris è scesa in campo a luglio, la campagna elettorale è stata molto veloce. Se si fosse candidata prima sarebbe cambiato qualcosa?

“È possibile, non ne sono convinta al 100%, ma è possibile. È vero che Harris non era molto conosciuta dagli americani, ha tenuto un profilo molto basso e non le è stato dato molto spazio come vicepresidente, quindi quando è emersa come candidata democratica moltissimi non la conoscevano. Non c’è stato quindi modo di creare quella ‘base’. Devo dire che si è tenuta abbastanza lontano dagli americani: ha fatto poche interviste, comizi certo, ma c’è stato un certo riserbo dalla sua parte che gli americani hanno preso come non desiderio di sporcarsi le mani, rimboccarsi le maniche ed essere una di loro’. Con il senno di poi è difficile da dire, sicuramente più tempo avrebbe aiutato, ma ho la sensazione che ci sia più un problema di base rispetto al partito democratico e forse anche lei come candidata, che avrebbe dovuto mettersi più in gioco”.

Cosa immagina guardando al futuro?

“Difficile saperlo: Trump quello che vuole fare l’ha detto, non ci vuole la sfera di cristallo. Ha parlato chiaramente che vuole tagliare le tasse, deportare in massa gli immigrati, eliminare gli accordi sul clima, ricominciare le trivellazioni e finire la guerra in Ucraina. C’è un po’ di apprensione soprattutto su come raggiungerà questi scopi, se metterà da parte, come ha detto che vuol fare, alcuni procedimenti democratici o se seguirà le regole del gioco. Di certo sta per prendersi anche la Camera e se ha la Camera e il Senato e il congresso è al completo potrà fare molto di quello che ha promesso senza colpo ferire abbastanza facilmente”.

Ha in programma di intervistare Trump?

“Quando era stato presidente la prima volta, lo ammetto, non ci avevamo provato perchè c’era il timore che manipolasse l’intervista come ha fatto con molti colleghi europei. Può darsi che ci proveremo”.

“Per quanto riguarda queste elezioni, forse non è stata la sorpresa che oggi pensiamo di avere. Io e alcuni colleghi dell’Avvenire avevamo molte perplessità sui sondaggi, perchè fotografavano una realtà che poi quando andavamo a parlare con la gente non aveva riscontro, quindi diciamo che bisogna farsi un esame di coscienza per l’aver sottovalutato le difficoltà in cui il paese vive, quello che io scrivo da sempre: è un paese difficile con una vita difficile, dove non ci sono reti sociali  che possano prendere chi ha problemi economici o di salute. Questo conferma che gli Stati Uniti sono un paese duro, e quando ci sono delle difficoltà bisogna saperle intercettare come politici”.

Il Legame della giornalista con Piacenza

Infine, un accenno alla sua vita privata: Elena Molinari mantiene un forte legame con Piacenza, sua città natale. “Ci torno sempre almeno una volta all’anno, perché ho la mia famiglia. Mia figlia verrà a studiare medicina in Italia, altra ragione per cui tornerò più spesso”.

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