Psichiatria forense: i medici chiedono aiuto alle istituzioni
22 Novembre 2024 17:42
Sos psichiatria forense, i medici chiedono un aiuto alle istituzioni per gestire al meglio i pazienti affetti da disturbi mentali autori di reato.
Un appello che non è rimasto inascoltato durante il corso di aggiornamento “Psichiatria forense – percorsi di cura e posizione di garanzia” ospitato dall’aula corsi dell’Ausl di via Anguissola.
Psichiatri e medici si sono confrontati sul tema affrontato da specialisti di varie aziende sanitarie: Fabio Dito (Bologna), Stefano Ferracuti (Roma), Mara Garbi (Piacenza) e Liliana Lorettu (Sassari).
“Abbiamo voluto un momento di incontro con i professionisti – ha spiegato il responsabile scientifico Massimiliano Imbesi direttore dei Centri di Salute Mentale Ausl di Piacenza – ma soprattutto con le autorità per potenziare la collaborazione e coordinare gli interventi.
Il nocciolo della questione è capire quanta responsabilità ha lo psichiatra, perché a oggi c’è un eccesso per quel che riguarda la parte di controllo sociale, temiamo che ci venga delegata sempre di più e chiediamo appunto maggiore collaborazione.
C’è però stata subito grande intesa con il procuratore capo di Piacenza Grazia Pradella per proseguire su questa strada”. Intesa arrivata grazie alla tavola rotonda moderata dal direttore di “Libertà” Gian Luca Rocco al quale hanno partecipato appunto Pradella e il prefetto Paolo Ponta.
“Devo fare i complimenti agli organizzatori perché i medici intervenuti si sono addentrati in temi tecnico-giuridici in maniera davvero competente – l’analisi di Pradella – è indispensabile che ci siano momenti di confronto su questi disturbi mentali che interessano molto la nostra sfera giuridica, parlarne e fare rete è il modo migliore per affrontare insieme i vari casi e aumentare la collaborazione”.
Ponta si è soffermato sulle modalità con le quali si deve fare squadra: “Queste problematiche passano soprattutto dagli organi competenti, che sono la sanità regionale e la magistratura, noi ci occupiamo della parte di prevenzione. Se le strutture riescono a fare rete, se la cura e la vigilanza sul paziente psichiatrico, come viene definito dalla magistratura suprema, non riguarda più soltanto la cura per la salvaguardia dello stesso ma anche per quella di terzi, allora si possono mettere in campo le opzioni più favorevoli per garantire l’ordine e la convivenza di queste persone nel territorio. C’è il tso, l’alternativa è la cura volontaria, poi ci sono i percorsi che portano queste persone a essere internate nelle residenze apposite oppure a stare in libertà vigilata, e quest’ultimo punto fa entrare in gioco anche le forze di Polizia che devono essere consapevoli e saper trattare chi ha avuto problemi psichiatrici non così gravi da dover essere rinchiusi: sono liberi, vigilati e costituiscono sicuramente degli obiettivi sensibili che hanno bisogno di continua attenzione tale da poter impedire loro che commettano ulteriori reati in un’ottica di ordinata convivenza civile”.
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