UILPA: «L’ordinamento professionale e il mansionismo sono problemi che non ammettono rinvii»
19 Luglio 2021 10:30
Lei sta partecipando alla trattativa tra Aran e sindacati per il rinnovo del contratto nazionale 2019-2021. Trattativa che si è aperta il 29 aprile scorso in un clima di generale ottimismo. A oggi il clima è lo stesso?
“Non parlerei di ottimismo. Piuttosto direi che in questa tornata contrattuale c’è una generale e positiva consapevolezza che il contratto delle Funzioni Centrali dovrà davvero trovare una completa definizione con un nuovo sistema ordinamentale. Questo perché ancora oggi abbiamo livelli e aree professionali diversi, che fanno riferimento ai vecchi comparti di contrattazione. Al momento credo di poter dire che l’Aran ha compreso come un rinnovo del contratto senza la definizione del nuovo ordinamento sia impossibile”.
Quindi è tutto a posto.
“Non dico questo. Rimangono in piedi i timori relativamente alla capacità del Governo di accompagnare questa delicata fase con provvedimenti normativi che agevolino la soluzione dei problemi esistenti. Penso all’ingessatura delle progressioni economiche e penso alla necessità di liberare risorse per la contrattazione decentrata a livello di Amministrazione”.
La Uilpa ha sempre sostenuto l’ineludibilità della definizione di un nuovo ordinamento professionale nel prossimo rinnovo contrattuale. Come stanno le cose?
“Stanno così: dobbiamo trovare risposta a due problemi che non ammettono ulteriori rinvii. Il primo, è quello di avere un ordinamento unico per tutto il nuovo comparto delle Funzioni Centrali; il secondo è quello di risolvere il problema del mansionismo, fenomeno esasperato dal blocco delle progressioni tra le aree. Dobbiamo garantire i percorsi di carriera e l’opportunità di poter transitare nell’area superiore laddove si sia acquisita un’adeguata esperienza professionale”.
Ma il Decreto Reclutamento ha introdotto per il passaggio tra le aree lo strumento del cosiddetto merito comparativo.
“È così. Il Decreto-legge numero 80 dello scorso 9 giugno supera il sistema della prova concorsuale, per il personale già in servizio. Direi che si tratta di una risposta coerente con quanto contenuto nel Patto per l’innovazione firmato tra Governo e CGIL CISL e UIL in relazione alla creazione di carriere professionali. Vedremo come poi disciplineremo la nuova area delle elevate professionalità. Un’area che rappresenta l’opportunità di crescita, ma che deve essere capace di accogliere le competenze oggi esistenti nell’area apicale”.
I sindacati confederali si sono presentati alla trattativa in maniera compatta. L’unità sta reggendo?
“Si. In questa fase CGIL CISL e UIL stanno lavorando unitariamente. Naturalmente il confronto è sempre vivo, ma trova comunque una sintesi che ci permette di essere più forti al tavolo di trattativa con l’Aran. La collaborazione fra le tre grandi confederazioni presenta poi un altro vantaggio: permette di approfondire le problematiche in modo da offrire soluzioni che tengano conto di tutto il contesto”.
In questi due mesi di discussione tra sindacati e Aran quali sono stati i punti di convergenza?
“Abbiamo condiviso la necessità di rendere più chiaro il contratto. Non deve più accadere che le norme contrattuali si possano interpretare tradendo il significato con le quali erano state concepite. L’altra convergenza è rappresentata dalla necessità di un intervento normativo che restituisca alle parti negoziali la capacità decisionale necessaria per quantificare le risorse in contrattazione di secondo livello, cioè a livello di singola Amministrazione, superando l’idea di un tetto massimo stabilito per legge”.
Quali sarebbero i vantaggi in sede di contrattazione?
“Questo restituirebbe dignità al confronto, ma soprattutto restituirebbe la responsabilità gestionale alla dirigenza. Vorremmo che ci si misurasse davvero sul risultato del lavoro delle Amministrazioni, sull’efficienza della macchina pubblica, oggi bloccata da vincoli insuperabili che impediscono di percorrere strade innovative nell’organizzazione del lavoro. E per percorrerle servono maggiori investimenti che, a loro volta, permetterebbero di erogare maggiori riconoscimenti per il personale a fronte di un miglioramento dell’efficienza. Se il nostro interlocutore pubblico è d’accordo con questo principio – e non può non esserlo – cosa aspetta a farsene carico?”
Quali invece i maggiori punti di dissenso con l’Aran sin qui emersi?
“Noi crediamo che si debba semplificare il rapporto di lavoro. Provo a spiegarmi: non serve a niente costringere il lavoratore a lambiccarsi il cervello o a diventare un esperto di diritto amministrativo per riuscire a conciliare i tempi di lavoro con i tempi personali. Occorrono invece poche regole chiare per flessibilizzare al massimo le modalità della prestazione lavorativa. Prestazione che deve comunque essere garantita”.
Cosa impedisce la semplificazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego?
“I troppi orpelli, le troppe complicazioni, che peraltro rappresentano oramai un costo insopportabile. Speriamo che le rigidità sinora mostrate possano essere superate. Ma per raggiungere questo obiettivo occorre snellire il modo di lavorare negli uffici. Un modo di lavorare che è lento, farraginoso, dispersivo, appesantito da mille strozzature burocratiche”.
Un’estesa introduzione del lavoro agile può aiutare a snellire il modo di lavorare?
“Non posso darle una risposta certa perché è tutto in divenire. Tuttavia, la necessità di definire regole più smart per il lavoro agile forse può rappresentare una breccia per rimettere in discussione anche altri aspetti da troppo tempo ingessati dell’organizzazione del lavoro”.
Tra i temi che state trattando uno è particolarmente sentito dai lavoratori: le norme sulla decurtazione del salario accessorio in caso di malattia. Pensa che si riuscirà a superare disposizioni così inique?
“Questo problema potrà essere definitivamente risolto solo da un intervento legislativo che elimini una disposizione davvero penalizzante e ingiusta. Con il nuovo contratto potremo solo ridurre l’attuale penalizzazione nei limiti che la legge prevede: 10 giorni anziché 15. Lo riteniamo un primo passo verso la soluzione di un problema che sta molto a cuore ai lavoratori e a noi che li rappresentiamo”.
Roma, 19 luglio 2021
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