La linea di sé, la complicata rotta di una vita in tempesta
29 Novembre 2022 16:06
Il mare ha da sempre una doppia valenza per gli uomini: se per alcuni è fonte di vita e nutrimento, una culla nella quale sentirsi al sicuro nel lento andirivieni dei flutti, per altri rappresenta invece un luogo di terrore e smarrimento, il presagio funesto di una terribile tempesta dalla quale forse non si uscirà vivi. Nel mare, come nella vita, bisogna rendersi in fretta timonieri esperti, così da saper manovrare la propria imbarcazione nella buona sorte e nella sventura, durante le traversate in solitaria o in compagnia di chi si abbandona e affida tutto sé stesso alla maestria del suo capitano. Anìm è una giovane donna che ha dovuto prendere presto in mano il timone della sua barca: sembrava nata per questo compito. Lontana dalla terra ferma, però, gli iniziali entusiasmi hanno lasciato che la paura si insinuasse in lei, come una crepa che diventa sempre più profonda e insanabile. Il suo viaggio, tuttavia, è appena cominciato e nessuno potrà frapporsi tra lei e la serenità che merita, tra la sua insaziabile fame di vita e il porto sicuro verso cui è diretta.
Quella di Anìm è una storia distillata, dal sapore intenso, sapientemente narrata dalla psicologa e psicoterapeuta Isabel Cardellicchio nel suo primo romanzo La linea di sé, pubblicato dal Gruppo Albatros il Filo. Sin dalle prime pagine l’autrice tratteggia il profilo di una protagonista in lotta con sé stessa, il cui aspetto esteriore forte, deciso e sicuro lascia intravedere soltanto a fatica un’anima fragile, che trema per la paura di non essere mai abbastanza. Lei, nata per colmare un’assenza, “capo tribù” e capro espiatorio di una schiera di fratelli e sorelle più piccoli, non ha mai mostrato segni di cedimento, almeno fino a quel momento. A narrare i fatti è un narratore interno molto vicino alla protagonista, ma nonostante gli anni passati fianco a fianco, mai aveva intravisto in lei quella fragilità che la rendeva tutt’a un tratto umana, vulnerabile.
“Riuscivo a sintonizzarmi con lei a volte ma al contempo, quando ne era troppo, fuggivo come per difendermi da un abisso dove forse io non avrei saputo nuotare. Presuntuosamente dicevo che avevo spesso solcato assieme a lei quegli oceani profondi e bui, ma se io ero soltanto il marinaio aggrappato all’albero maestro che scorgeva scogli o nuovi approdi, al timone era lei e, per quanto fosse stanca di farlo, sapevo sarebbe stata capace di sfidare il vento e riportare la nave sulla rotta”. Con tanta eloquenza viene narrata la fiducia cieca che un personaggio del genere è capace di infondere, ma è muovendosi dietro le apparenze che si sviluppa il meccanismo più interessante, quello di una costruzione interiore che deve, necessariamente, raggiungere il nocciolo dell’esistenza. Scegliendo finalmente di aprirsi al confronto, Anìm rende visibile quella parte centrale di sé che non aveva mai mostrato a nessuno.
Nella società della fretta e dell’apparire, l’uomo moderno è più che mai tormentato dal dramma di essere un performer impeccabile: il peso delle aspettative è sempre più difficile da sostenere, il tempo da poter dedicare alle attività quotidiane si riduce all’osso e sembra non essere mai abbastanza, tanto che le uniche strade da percorrere sembrano essere la rinuncia o il burnout. Non a caso è al tempo che si riconduce tutto, protagonista silenzioso del romanzo: possiamo quasi percepire il suo scorrere, scandito da pesanti rintocchi, ma al contempo appare fluido, inscindibile: “il tempo è una componente essenziale all’interno di questo libro, perché se a un primo sguardo esso sembra suddiviso in periodi, quali l’infanzia, l’adolescenza, la fase amorosa, questi tempi poi si sovrappongono tra di loro, scivolano e si confondono” sottolinea l’autrice ai microfoni di Se Scrivendo, il salotto letterario di CaosFilm dedicato alle nuove voci del panorama letterario italiano “il tempo è ciò che le permette di fare una sorta di autoriflessione e di arrivare a nuove consapevolezze su di sé e sulla sua storia di vita”.
Quasi a costringere Anìm in questo faccia a faccia con sé stessa è l’incontro con un dolore improvviso, quel lutto che la sconquassa e la porta alla deriva, senza più alcun punto di riferimento. La sete di libertà che credeva di aver soddisfatto lasciando la casa paterna a soli diciannove anni si era presto trasformata in arsura, come se senza accorgersene le avessero dato da bere soltanto acqua salata, fino a seccarne le viscere. Una tempesta, poi un’altra, poi un’altra ancora a danneggiare un’imbarcazione che avrebbe dovuto trasportare non soltanto Anìm, ma anche tutto un equipaggio che pende dalle sue labbra e che vede in lei l’unico faro per la salvezza. Il ruolo dell’altro, in questo romanzo, è ancora una volta duplice: se infatti da una parte diventa una responsabilità o quasi un fardello, al contempo il confronto permette di riconoscersi esseri in relazione. È attraverso l’altro che lei trova la strada per addentrarsi in sé stessa, nel supporto di chi la circonda e che le permette, per una volta, di sentirsi leggera.
La tempra di Anìm viene messa spesso a dura prova, fino quasi a raggiungere il punto di non ritorno. Con le mani gonfie e doloranti per aver stretto troppo a lungo il timone, per aver cercato di dominare con troppa irruenza le vele nel mare in burrasca, ecco che l’istinto le impone di mollare la presa, di lasciarsi inghiottire dall’oscurità del mare, anche se questo dovesse comportare il naufragio di tante, troppe persone. La stanchezza che la assorbe è un contraccolpo fisiologico, il crollo di quella corazza di sicurezza imperturbabile che finisce per sgretolarsi come terra e sabbia. “Anìm arriva infine a un’altra consapevolezza che all’inizio sembra di rinuncia, un doversi accontentare. In realtà è qui il punto di forza: nel saper cogliere ciò che di buono la vita offre ogni giorno” continua l’autrice durante Bookshow, la rubrica di approfondimento letterario di Se Scrivendo. Con le sue parole sottolinea quanto sia necessario non confondere la ricerca della felicità con quella della serenità: se inizialmente Anìm crede che la prima sia il suo punto di arrivo, presto si rivelerà un punto di partenza troppo labile da conservare intatto a lungo. È invece il raggiungimento di una serenità stabile, senza scossoni, il vero punto di arrivo che le permetterà di assaporare a morsi lenti anche le gioie più piccole, quelle che altrimenti sarebbero passate in secondo piano.
Isabel Cardellicchio dimostra una grande capacità di narrare la psiche attraverso evocazioni e immagini: in questa dettagliata metafora racchiude ciò che ogni essere umano, almeno una volta nella vita, si è trovato ad affrontare: il dolore, la perdita, il fallimento. L’autrice analizza infatti le vicende di Anìm con precisione chirurgica, non soltanto grazie al punto di vista privilegiato di chi conosce profondamente, in tutta la sua ampiezza, l’arco esistenziale della protagonista, ma anche come professionista capace di cogliere, già dai primi segnali, quelle situazioni di disagio che la contemporaneità porta con sé. La narrazione è resa poi ancora più incisiva dalla presenza, nell’opera, delle parole dei grandi della letteratura che prima di lei hanno voluto avventurarsi nei meandri della sofferenza: sono voci tonanti, autorevoli, delle quali l’autrice si serve quasi per consegnare al lettore i pezzi per comporre una bussola. Il manuale di istruzioni che permetterà di assemblarla ce lo consegnerà Anìm, una volta tornata in porto.
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